In un’omelia rivolta ad un gruppo di sacerdoti nel 1981, l’allora cardinal Ratzinger ricordava che lo Spirito Santo innanzitutto “raccoglie”; riporta unità dove c’è la frammentazione e la dispersione, dove le forze centrifughe della vita hanno la meglio su di noi. Proseguiva dicendo che «la fede, che viene dallo Spirito Santo, è sempre raccolta, riunione che conduce a unità ciò che era disperso». Infine giungeva ad una conclusione semplice ma sorprendente: «Il ministero sacerdotale è prima di ogni altra cosa ministero di riunione, di raccolta. […] Può raccogliere solo chi è stato a sua volta raccolto». Si tratta di un raccoglimento interiore, di cui la parte attiva è la ricerca di una sincera interiorità che ci permette di offrire agli uomini qualcosa di realmente diverso.
Don Giussani ci ha insegnato a chiamare questo raccoglimento interiore con una parola in disuso nella nostra società occidentale: la parola “silenzio”. L’esperienza della maggior parte delle persone che incontriamo, è quella di una certa paura o avversione al silenzio. Spesso non lo si desidera perché nel silenzio sembra non succedere niente e perché siamo portati a pensare, non senza un certo disagio, a quella verità di noi stessi che normalmente è coperta dal rumore.
«Può raccogliere solo chi è stato a sua volta raccolto». Mi ha colpito, fin dalla prima volta che ho letto queste parole, il verbo usato al passivo. È assolutamente appropriato perché descrive l’apparire, nella vita, di qualcuno che mi raccoglie e mi riporta al centro. Per ciascuno di noi è stato così. Qualcuno ci ha provocato una sana nostalgia di profondità, ci ha stimolato a non accettare più di vivere sulla superficie delle cose, degli avvenimenti, della vita. Qualcuno ci ha insegnato a non aver paura del silenzio perché esso è il luogo del dialogo con il Signore. Penso che nessuno lo avrebbe scoperto senza averlo visto come esperienza positiva nella vita di un’altra persona.
Nella mia vita di sacerdote non è raro incontrare persone che mi dicono di come la confessione sia stata l’unico punto che li legava alla realtà. Esperienze di questo tipo mostrano da vicino la potenza dell’azione del Signore nel mondo. Il legame con la realtà è ciò che non passa, che permette di guardare al futuro con speranza perché c’è Qualcuno che mi ha chiamato per nome e che mi aspetta.
Spesso con le famiglie della parrocchia abbiamo messo a tema il silenzio. Ci siamo interrogati su come proteggersi dal bombardamento continuo di suoni, notizie, immagini al quale siamo sottoposti. Durante una gita siamo stati a pregare in uno dei pochissimi monasteri di clausura che ci sono nella zona di Lisbona. I bambini, che avrebbero dovuto essere i più insofferenti all’ora passata in cappella, a cena erano agitati perché dicevano di aver visto il Paradiso di cui si parla nel catechismo. Con i genitori è nata così l’idea di preservare un po’ di tempo ogni giorno, o almeno ogni settimana, perché in casa ci sia silenzio «per poter parlare con Gesù». Alcuni hanno poi proposto di fare un incontro in famiglia «come quello che fanno i nostri amici preti», per raccontarsi l’un l’altro i fatti più importanti accaduti durante la settimana.
Il mio desiderio di essere raccolto ha bisogno di uno spazio e di un tempo, altrimenti viene soffocato dal susseguirsi implacabile degli avvenimenti. Il vivere con altri questo tempo, possibilmente condividendo anche lo spazio, rende più evidente la forza di Colui che parla nel silenzio.
(foto Mikhail Koninin)