In casa di formazione, l’educazione passa anche dal lavoro in giardino.

Tutte le volte che dico a un amico che lavoro nell’orto, nasce nel mio interlocutore un sentimento misto di stupore e incredulità. L’uomo di oggi, che vive in città sempre più frenetiche, è ancora fortemente affascinato dal ritmo della natura e dalla vita semplice della campagna.

Insieme ad altri otto seminaristi, ogni sabato mattina ci occupiamo della cura del giardino, degli alberi da frutta e dell’orto. Curiamo tutto, dalle piante esotiche che vengono dalle nostre missioni come l’avocado del Cile, ai tipici carciofi romani, le puntarelle, l’insalata, i limoni.

Lavorare la terra è una grande scuola di umiltà: la pianta non cresce quando voglio io, ma ha bisogno del suo tempo per maturare. Mi insegna che la mentalità moderna del “tutto e subito” urta con il metodo di Dio, che invece entra nel cuore delle persone lentamente e discretamente. San Paolo dice che né chi pianta né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. È Dio che fa crescere il seme della mia vocazione «nella terra del mio giardino».

L’unico lavoro che davvero non sopporto è togliere le erbe infestanti: ricrescono sempre negli stessi posti e, se non vengono estirpate periodicamente, soffocano la pianta buona. Ricordo che qualche mese fa mi è stato chiesto di strappare l’edera dalla siepe: seduto per terra dovevo sradicare ogni singola radice a mano. Ha richiesto tanto tempo e tanto lavoro. Oggi l’edera è tornata, negli stessi punti del giardino, inesorabile. Ammetto che inizialmente lo sconforto si è impossessato del mio animo, poi però ho guardato più attentamente la siepe e ho notato che in alcuni punti l’edera è effettivamente scomparsa. Allo stesso modo, la vita del seminario è il diserbante più efficace per liberare il mio cuore nella corsa verso Cristo: giorno dopo giorno, con l’aiuto dei superiori e degli amici, alcune piante che infestano l’animo se ne vanno, altre hanno bisogno di una lunga battaglia ed altre forse non verranno mai “estirpate”. Io vorrei diventare subito perfetto agli occhi di Dio, essere libero da ogni macchia, ma forse Egli permette che tante debolezze rimangano proprio perché mi ricordi che ho bisogno di Lui. D’altronde, come mi ripete spesso un amico con le parole di don Giussani, «se la Chiesa fosse fatta di perfetti, non ci sarebbe posto per me!».

 

Francesco Babbi, 26 anni, di Bologna, è al secondo anno di seminario. Nella foto, seminaristi alla raccolta delle olive.

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