Mi trovo a essere in quella fase della vita che ci mostra negli altri, specie i nostri genitori, il dramma e la dolcezza della famosa frase di Gesù al suo amico Pietro: in verità, in verità ti dico che quando eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti (Gv 21,18).
Il lavoro sacerdotale non tarda a metterci davanti persone che, nella malattia e alle soglie della vita, chiedono di essere accompagnate. Dal Messico agli Stati Uniti, dal Maryland al Minnesota, la visita e la comunicazione dei doni che il Signore offre agli infermi e ai morenti mi sono sempre stati presenti in modo particolare.
Mi sono trovato ad accompagnare i miei genitori nelle loro ultime ore, sulla via del ritorno al Padre. Mio papà Vincenzo nel 2007 e, lo scorso ottobre, mia mamma Angela, che ha raggiunto il papà in cielo. Le difficoltà della sua malattia, la mia distanza, mi hanno sfidato. Cosa significa accompagnare? Come è possibile accompagnare i nostri cari? Come dicevo, la lontananza geografica mette a fuoco in modo particolare questa domanda; ma ancora di più ci provoca la distanza che la sofferenza crea, il dolore che la persona davanti a te sente e che tu non senti, il desiderio che sorge di poter assumere un poco di quella sofferenza, per alleviarla. Davanti ai limiti che queste situazioni così comuni e umane evidenziano in noi, a dispetto della modernità che suggerisce di nascondere, medicalizzare, ospedalizzare, ci si scopre sempre poveri, anzi miseri: l’uomo non possiede le risposte alle questioni che avverte più urgenti, importanti per sé.
Cercando di trovare parole di consolazione per la mia mamma, come prima per il mio papà e tante altre situazioni, spesso fallendo, mi vergognavo della mia miseria. In uno di questi momenti, mi è ritornato in mente il celebre intervento di don Giussani di fronte a papa Giovanni Paolo II, nel 1998. Mi sono ricordato di come don Gius usò il termine “mendicante”, togliendolo dal vocabolario del dolore per restituirlo invece – almeno a me, a noi di Comunione e liberazione, ai sacerdoti della San Carlo – come luogo privilegiato dove incontrare il Signore.
La nostra vita insieme è davvero la chiave di una fede che riconosce il suo amore
Questo pensiero non si è limitato a un ricordo che, per quanto significativo, lascia le cose dove stanno: le parole vere rivelano la realtà in maniera più profonda, rendono i nostri occhi più acuti. Posso dire che da quel momento ho visto meglio quanto stava accadendo attorno alla mia mamma, quanto accade attorno a chi è nel bisogno, nell’estremo momento della vita. Ho visto come si sono mossi gli amici di casa mia, qui a St. Paul, e delle altre case in America. Ho visto come don Paolo Sottopietra, che era in America in visita alle nostre case, è riuscito ad arrivare per il funerale. Ho visto don Massimo che ha celebrato la messa delle esequie per la mia mamma, che lo ha sempre stimato profondamente. Ho visto con occhi nuovi la presenza di mia sorella Lucia e di mio fratello Flavio, di Paolo e Federica, dei miei cognati e dei nipoti; la presenza discreta e assidua della comunità del Movimento di Legnano, la comunicazione di una quieta amicizia, di una cura. E poi, sui due lati dell’oceano, la mia parrocchia d’origine, San Magno a Legnano, i nostri amici e parrocchiani qui a St. Paul, gli insegnanti e gli studenti della mia scuola. Non faccio questo elenco solo per ringraziare. «È, se opera»: essere accompagnati è uno dei regali più preziosi che il Signore ci fa, e partecipare della sua compagnia attraverso la nostra vita insieme è davvero la chiave di una fede che riconosce il suo amore.
In realtà, questi miracoli li avevo già visti – altrimenti non sarei dove sono –, ma ho trovato una particolare consolazione nel guardare il dolore della sofferenza e della morte di mia madre diluirsi nella compagnia che abbiamo potuto farle, nella gratitudine per la sua vita, la sua educazione e il suo esempio di fede.
La resistenza di fronte al dolore, alla paura, all’incognita di quell’altro cui il Signore allude nel suo dialogo con Pietro, si scioglie nell’affidamento che ho visto nella mia mamma accompagnata e in me, a mia volta accompagnato quando dovevo accompagnare. L’estremità delle situazioni rende solo più evidente il Mistero buono che ultimamente ci abbraccia tutti.