Quand’ero al liceo il venerdì, finita la scuola, prendevo la metropolitana e, quasi ad ogni fermata, saliva qualche amico per andare al pranzo di GS e alla scuola di comunità. In quel periodo don Sergio Ghio, sacerdote della Fraternità san Carlo, stava sistemando i locali di un vecchio centro giovanile nel cuore di Roma, per creare un posto dove ritrovarsi, mangiare insieme, studiare. In quegli anni nasceva il Centro Esquilia, luogo in cui ho incontrato il movimento di Comunione e Liberazione.
La mia famiglia mi aveva introdotto fin da piccola alla fede e alla vita della comunità, con le vacanze d’estate, gli amici, la messa. Ma fu la vita di GS, con quel primo gruppetto di amici, che mi travolse. Avevo trovato un posto dove mi sentivo guardata all’altezza dei miei desideri. Don Sergio spesso ci chiedeva: «Sei felice?», e a seguire qualche ironica battuta. Dopo un po’ non te la potevi più cavare con un semplice: «Tutto bene, grazie»!
Il Centro è stato un luogo la cui vita consisteva nelle nostre stesse vite. Ho visto in atto la genialità e la forza dell’educazione di don Giussani: giudicare, aprirsi al mondo, essere presenti nella scuola, studiare con intelligenza nuova, vivere un’amicizia per un ideale grande. Negli anni è nata anche la caritativa con i ragazzi delle scuole medie: la Barca di Pietro. Mi sono coinvolta con loro, insieme a Marta, una mia cara amica, e ai seminaristi della Fraternità san Carlo. Anno dopo anno, il gruppo cambiava, eppure ritrovavo nei nuovi seminaristi le stesse caratteristiche che mi avevano colpito in quelli precedenti. Erano tutte persone libere, liete, amici tra loro, capaci di amare e di accogliere le domande dei ragazzi e di noi giessini.
In quegli anni avevo conosciuto i monaci benedettini della Cascinazza e, anche davanti a loro, avevo avuto la stessa percezione: persone che vivevano un amore grande per Dio e per gli uomini. Piano piano è nata in me una domanda profonda: come era possibile che queste persone, nonostante avessero rinunciato al mondo e all’amore per una donna, fossero capaci di amare in quel modo? Intanto don Sergio non aveva paura di metterci davanti a parole come «vocazione» e «verginità». Anche se non le capivo fino in fondo, intuivo che descrivevano l’orizzonte della vita nella quale ero immersa.
All’università decisi poi di iscrivermi a filosofia, per approfondire una passione grande. Le amicizie di quegli anni sono state dei rapporti di vera compagnia. Si viveva tutta la giornata insieme, studiando in facoltà. Il giorno del mio primo esame, Marta mi chiese di pranzare insieme. Mentre le raccontavo dell’interrogazione, lei mi interruppe e mi disse che una nostra amica sarebbe entrata di lì a poco nel monastero delle trappiste di Vitorchiano. Il pensiero dell’esame svanì all’istante. Non potevo credere che questa amica avesse preso la decisione così grande di dare tutta la vita a Cristo. E fino al giorno prima l’avevo vista coinvolta nelle riunioni del consiglio di facoltà! Da quel preciso momento è incominciata a crescere in me la domanda su che cosa Dio mi chiedesse.
Negli anni successivi, gli amici hanno preso strade diverse: chi si è sposato, chi è entrato in seminario o, come Marta, in monastero. Mi tornava spesso in mente il passo del Vangelo: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». Vedevo questi amici rispondere all’amore totale di Cristo per noi, attraverso una decisione radicale. Anch’io desideravo vivere così e spendermi perché anche altri potessero incontrare questo amore.
Questi desideri li ho ritrovati poi, ancora più chiari e cristallini, nei primi dialoghi con don Paolo Sottopietra e con suor Rachele Paiusco, fondatori delle Missionarie di san Carlo. Allora ho capito che quella era la strada che Dio mi aveva preparato per vivere all’altezza dei miei desideri.
In questi sei anni i desideri che portavo nel cuore sono cresciuti ancora di più e hanno preso forma e consistenza nuove, attraverso la preghiera e la vita comune con le sorelle nella casa.
Oggi vivo a Roma nella Casa delle professe semplici, insieme ad altre cinque sorelle, e collaboro con Rachele nella responsabilità della guida dell’istituto. Questo compito mi apre continuamente orizzonti nuovi, nello stupore per ciò che Dio costruisce nelle nostre vite.
All’altezza del mio desiderio
Suor Maria Giulia Cremonesi racconta la storia della sua vocazione in occasione dei suoi voti definitivi