Uno dei libri dell’Antico Testamento con cui ho avuto più a che fare ultimamente è il Cantico dei Cantici. Un libro “difficile”, non c’è che dire. Il Cantico è un libro paradossale. I padri della Chiesa, ma prima di loro i rabbini di Israele, lo considerano il “Santo dei santi” della Scrittura, cioè il libro più profondo, quello che racchiude i misteri più sublimi. Eppure il Cantico parla, o, meglio, poeticamente canta, la cosa più carnale che esista, la passione d’amore tra un uomo e una donna. I rabbini di Israele prima e la Chiesa poi hanno visto in questa storia d’amore un simbolo della storia d’amore tra Iahve e Israele prima, tra Cristo e la Chiesa poi. Ora, la cosa spettacolare è che, indipendentemente dall’origine storica di questi canti d’amore, una volta che noi impariamo a leggerli nella luce dello Spirito di Cristo (e ci vuole qualcuno che ce lo insegni, che ci introduca a questa lettura) arriviamo a scoprire aspetti dell’amore tra Dio e la sua creatura che nessun altro libro della Scrittura, nemmeno i Vangeli, riesce a farci intravedere: il mistero della passione che sconvolge il cuore di Dio. Ci sono accenti nel Cantico che ci aiutano a sfiorare il fuoco della “violenza”, come dice Riccardo di San Vittore, dell’amore di Cristo: certo la passione di Dio non è come la nostra, non è passione mossa dal bisogno. È brama di dare, di donarsi. Eppure è passione reale, è brama violenta: Dio ha sete della Sua creatura ed esulta per il nostro sì, come un vero innamorato: Distogli da me i tuoi occhi. Il tuo sguardo mi turba… (Ct 4,6). Divo Barsotti ha scritto pagine splendide su questo versetto: Sono parole che Dio dice alla creatura, e che lo Sposo del Cantico dice alla Sposa.
La lettura del Cantico ci conduce a due riflessioni, che ritengo importanti e bellissime, sul rapporto tra l’Antico e il Nuovo Testamento.
Effetto trasfigurazione
La prima riflessione: quando diciamo “Antico”, pensiamo a qualcosa che, una volta che c’è il Nuovo, non serve più, è stato soppiantato. E invece non è vero. E non solo perché l’Antico Testamento ci fa capire meglio il Nuovo. C’è molto di più. C’è quello che io chiamo “effetto trasfigurazione”. Una volta che impariamo a leggere l’Antico nella luce del Nuovo, quello che succede è come una specie di incendio che si appicca alle “oscure” lettere antiche e le indora, le rende incandescenti, così che esse ci fanno vedere spettacoli che il Nuovo Testamento stesso non ci mostra. La poesia del Cantico, per esempio, o certi salmi – pensiamo ai salmi della passione, il 22 o il 69 –, ci dicono cose del cuore del Signore su cui il Nuovo Testamento stesso non ci rivela quasi nulla. Potremmo chiederci: perché questo gioco di Cristo a nascondersi nell’Antico Testamento? Rispondo: è giusto che sia così. Le cose più intime il Signore non le mette in piena vista, le nasconde, in un certo senso. Così che solo chi Lo ama di più, chi è disposto a faticare e a sporcarsi le mani “scavando” per amor Suo, possa scoprirle. Facciamo così anche noi: ciò che è più intimo, lo riveliamo normalmente solo a chi pensiamo ci ami di più… e questo è il senso giusto della strana frase di Gesù: «Non date le perle ai porci». Non è una frase aristocratica. Gesù vuole dire: diventa sposa, amami, e troverai le perle.
La seconda riflessione, che è l’altra faccia della stessa medaglia, è questa: prima di arrivare a capire come l’amore del Cantico mi aiuta a capire meglio Cristo, occorre che impari a leggere e capire il Cantico attraverso l’amore di Cristo. Questo risvolto della medaglia ha in realtà il primato dal punto di vista educativo, e questo perché è solo di fronte a Cristo che le parole antiche diventano pienamente chiare. È l’amore di Cristo che rivela pienamente che cosa sia l’autentico amore sponsale. Certo, le due cose (amore sacro e amor profano) si illuminano a vicenda. Ma è Cristo la Luce ultima. Con questo intendo dire che è importante capire bene cosa vuol dire che Cristo risponde alle promesse e compie tutte le “figure” dell’Antico Testamento. Gesù non si limita a riempire, per così dire, uno spazio concavo già precostituito, come una mano riempie un guanto. Nel compiere al contempo chiarisce, purifica e riforgia le promesse stesse: le compie, cioè, in modo sorprendente. Il che è la cosa più drammatica ma anche la più meravigliosa da scoprire.
Il segreto del nardo
Per esempio, per rimanere nel Cantico dei Cantici, quando Giovanni ci racconta che Maria di Betania cosparge di nardo prezioso i piedi di Gesù, è ben chiaro a qualunque giudeo educato del tempo in cui egli scrive, che l’evangelista sta alludendo al Cantico dei Cantici. In tutta la Bibbia, infatti, il nardo compare solo nel Cantico, come simbolo del desiderio intenso della “sposa Israele” di attirare a sé il Suo Amato Re, di consumare l’unione con lui. Dice la sposa: «Mentre il Re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo» (Ct 1,13). Maria con questo gesto riconosce in Gesù lo Sposo di Israele, lo Sposo messianico che finalmente è arrivato, è presente; nello stesso tempo ella esprime tutto il suo desiderio adorante di stringerlo a sé per sempre e di donarsi a Lui con tutta se stessa, coronando il sogno del Cantico di un perfetto possesso reciproco: «Io sono del mio amato e il mio amato è mio»
(Ct 2,16; 6,3).
Solo su questo sfondo si può capire la profonda bellezza e insieme la dolce ironia della spiegazione del gesto data da Gesù: «Lasciala fare: mi ha unto per la mia sepoltura» (cfr. Gv 12,7). In realtà il nardo non si usava affatto per seppellire nessuno. Dicendo così, Gesù suggerisce allusivamente a Maria e ad ognuno di noi che il desiderio di unione totale di Maria con Gesù, per essere veramente compiuto, deve passare paradossalmente attraverso lo strappo lacerante di ciò che sembra esserne la negazione: la separazione da Lui. Maria deve lasciarlo morire, deve lasciarlo andare dal Padre. Ma in questo lasciarlo andare, in questo lasciarlo morire per lei, Maria non lo perde: al contrario, è proprio donando il Suo Corpo e il Suo Sangue sulla croce per lei, che Gesù potrà “stringersi” a lei in una intimità che va ben oltre ogni sua immaginazione: nessun amante umano infatti può realizzare una donazione ed una unione simile a quella che avviene nell’eucaristia tra il Signore e ogni cuore che Lo ama…
Così capiamo: Cristo compie le immagini e, nello stesso tempo, le purifica, le chiarisce: senza sacrificio, infatti, non ci può essere vera unione d’amore, non solo tra noi e Cristo, ma anche tra l’uomo e la donna. Si ritorna così al senso letterale del Cantico, il senso primitivo che era appunto il canto dell’amore umano. Ma ora lo si comprende con occhi nuovi.
Nell’immagine: Marc Chagall, «Cantico dei Cantici», 1960.