La vocazione di don Francesco, oggi rettore della Casa di formazione

Quando ho deciso di fare il prete avevo la ragazza. Le volevo bene e le sono profondamente grato perché mi ha capito e amato. «Se questo è quello che vuole Dio, io mi faccio da parte», mi disse. Se oggi desidero fare il prete è perché ho incontrato persone che mi hanno amato così, senza misura.
Mi hanno amato i miei genitori e i miei fratelli, mostrandomi che la vita è bella e vale la pena viverla fino in fondo. Me l’hanno insegnato senza parole. Mio padre mi ha testimoniato che vivere vuol dire spendersi per qualcosa. Mia madre che servire è una decisione quotidiana del cuore. Con i miei fratelli ho iniziato a conoscere il mondo e ho visto quanto è bello scoprirlo insieme. Mi hanno insegnato che la vita è bella, non perché è facile, ma perché il bene è più forte del male. Non mi hanno mai parlato troppo di Dio, me l’hanno semplicemente fatto vedere. E mi è piaciuto.
Ho fatto le elementari dalle suore. Non ho tanti ricordi. Il più nitido è quel giorno in cui ci hanno lasciati in un parco da soli, in silenzio, per dieci minuti, ognuno con una frase del vangelo. Loro non lo sanno, ma mi hanno donato il primo ricordo che ho di Dio. Non è poco.
Con il passare del tempo scopro che la mia infanzia è piena di segni di Dio. Come quel prete alto, lituano. Aveva fatto vent’anni di prigionia e una notte venne a dormire a casa mia. Avevo cinque anni, credo.
Mi hanno amato senza saperlo dei Memores Domini, missionari, amici dei miei genitori. Venivano da paesi lontani e quando avevo dodici anni le loro avventure erano più affascinanti delle mie piccole disperazioni. Allora ho pensato che sarei stato missionario. Una volta stavano parlando con i miei, seduti sul divano. Io sono passato per andare a una delle mie prime uscite con Gs. Uno di loro mi ha detto: «Io ho iniziato così e sono finito in Russia!». Mi ricordo chiaramente cosa ho pensato: «Per essere felice, ci andrei anch’io…».

Anche Celentano
Appunto, in quegli anni avvenne il mio incontro personale con il movimento, con gli amici di Gioventù studentesca. Ho iniziato a stare con loro all’inizio delle superiori, nel liceo scientifico di Reggio Emilia, e non sono mai andato via. Da quando li ho incontrati non ho più conosciuto momenti di reale disperazione. Con loro ho deciso che nella mia vita mi sarei donato interamente al movimento. E poi in Gs potevo essere chi ero veramente. Potevo anche dirgli senza vergogna che mi piaceva Celentano. Mi prendevano in giro, però lo cantavamo insieme.
Con noi di Gs c’era Gabriella, anche lei era stata in missione, ed era sempre felice. Con noi c’era don Mauro. Una volta siamo andati con lui in Spagna. Durante un viaggio in pullman a un certo punto si è isolato e si è messo a leggere quel suo strano libro di preghiere. Per la prima volta mi sono accorto che il prete faceva “cose” che altri non facevano, aveva a che fare con Dio. Con noi c’era anche Annalisa. Quando è entrata in monastero ho capito che donarsi è una scelta. Una scelta che va fatta, prima o poi.
Sono stato molto amato all’università, a Milano. Là ho avuto tanti amici veri, in particolare quattro. Abbiamo vissuto insieme il mio primo anno, in un appartamento in via Borsieri, vicino alla stazione. Abbiamo dato tutti la vita a Cristo. Loro sono entrati nei Memores Domini ed io alla San Carlo. Con loro ho intravisto cosa sarà il Paradiso: un’amicizia bellissima, che vive di Cristo. Con loro ho conosciuto don Pino. Era un prete che si spendeva totalmente per il movimento. Viveva servendo l’amicizia più cara che aveva. Un mese dopo l’inizio dell’università ho deciso che volevo vivere anch’io così.
È allora che ho detto a Margherita che volevo fare il prete. Ed è quel giorno che lei mi ha amato così tanto, lasciandomi andare. Da allora desidero amare tutto così, con la stessa disponibilità, con la stessa radicalità.

Dare la vita
Sono stato profondamente amato da Marta. Era un’amica. Ad un certo punto si è ammalata di tumore ed ha offerto la sua vita anche per me. Solo in Paradiso vedrò veramente la portata della sua offerta. Anche per questo non vedo l’ora di andarci. Per ora mi ha mostrato che «dare la vita per i propri amici» è possibile e bellissimo.
All’inizio del terzo anno di università ho conosciuto don Paolo, della Fraternità san Carlo. È stato un incontro discreto e decisivo, come a volte sceglie di essere Dio. Attraverso di lui ho scoperto che nel mondo esisteva un luogo fatto di amici, preti, del movimento. Da allora ho sempre pensato che la Fraternità san Carlo fosse il mio posto.
In occasione dell’ordinazione si sceglie un’immagine come ricordo. Ho scelto quella della Maddalena che onora i piedi di Gesù con un profumo costoso. Tutti lo giudicano uno spreco, lei desidera solo donarsi senza misura. È un gesto che mi affascina. Quanta gratitudine deve avere avuto nel cuore quella donna, così grande da non calcolare lo spreco. Forse questo abbiamo in comune: la gratitudine. E oggi il desiderio più grande che ho è proprio di poter “sprecare” la mia vita per Cristo.

(Nella foto, don Francesco, a sinistra, insieme a don Lorenzo Locatelli, in un momento di festa)
francesco ferrari

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