Una riflessione su san Gregorio magno: raccoglimento, vita comunitaria, ascolto di Dio.

«Cara Giulia, Gregorio Magno è un amico per conoscere se stessi e per aiutare gli altri». Con questo biglietto ho ricevuto in regalo, due estati fa, la Regola Pastorale di Gregorio. Così è iniziata la mia amicizia con questo grande santo.
Fino ad allora l’avevo incontrato solo nei libri di storia. Mi appariva grande per le sue riforme, ad esempio quella del canto liturgico. Ma non mi ero ancora accostata al suo cuore, alla sua grandezza d’animo. Bruciando le distanze che mi separavano dal VI secolo, ho deciso di accettare la sua sfida: Gregorio mi offre la sua vita e i suoi scritti per conoscere di più me stessa.
Vive in tempi di grande crisi, simili per molti aspetti ai nostri: c’è confusione, disorientamento, corruzione dei costumi. È crollato l’Impero Romano e Gregorio non vede più Roma nello splendore della sua gloria. In questo clima, Gregorio ha molto chiaro che il primato è di Dio, che da Lui solo viene la possibilità di costruire. Per questo, dopo aver raggiunto da giovane la carica di Prefetto dell’Urbe, posizione invidiata da molti, decide di ritirarsi in monastero.
Stanno arrivando popolazioni nuove, barbari, che cambieranno il volto dell’Europa e Gregorio non ha paura. Anzi, è proprio della loro conversione che si preoccuperà assiduamente una volta divenuto Papa.
Eletto nel 590, lascia con nostalgia la vita monastica. Tuttavia, egli continuerà a vivere con il cuore di un monaco. Agirà sempre con un desiderio ardente di Dio. Recentemente ho trovato questa osservazione di san Bernardo: «Non sono mancati romani pontefici che, in mezzo agli impegni più gravi, si sono raccolti in se stessi». È così. Anche se Gregorio è molto sincero e non nasconde le difficoltà del compito di guidare la Chiesa in tempi così duri, vive raccolto e attento.
Non a caso il suo nome, di origine greca, corrisponde al latino Vigilans, Vigilator, colui che vigila.
Gregorio è poi un uomo che vive la carità e che si dà da fare, che è capace di profonde relazioni e mediazioni. Incontra molte persone, scrive numerose lettere a monaci, vescovi, patriarchi, regine, amici. Eppure la lettera più importante dice di non averla scritta, ma ricevuta: è la Sacra Scrittura. «Se ricevessi una lettera di un imperatore terreno – scrive al suo amico Teodoro – non indugeresti, non riposeresti, non concederesti sonno agli occhi se prima non avessi conosciuto ciò che l’imperatore ti avesse scritto. L’Imperatore del cielo, Signore degli uomini, ti ha trasmesso la sua lettera a vantaggio della tua anima». Egli esorta spesso: «Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio».
Gregorio ragiona, osserva, pensa a partire dalla Scrittura, che presa “alla lettera” svela sempre qualcosa di noi stessi. Ecco come fa a conoscere i segreti dell’animo, di tutti i moti nascosti, delle tentazioni che vive e che vivono gli uomini attorno a lui. Egli si lascia mettere in discussione ed esamina a fondo se stesso: nelle sue opere, tuttavia, ciò che risalta non è questa forza di introspezione. È piuttosto la vita comune, con i suoi monaci prima e poi con il suo popolo, insieme alla Scrittura. Sono queste le fonti di luce che mettono a nudo davanti ai suoi occhi ogni atteggiamento dello spirito: «La mente comprende meglio il senso delle parole di Dio quando in esse cerca se stessa».
C’è ancora una caratteristica di Gregorio che mi piace molto: egli ripete che bisogna «redire ad cor», tornare al cuore. Questa è l’azione più importante, alla base di tutte le azioni che l’uomo compie sulla terra. È una lotta, dice Gregorio, per raggiungere il cuore più vero, di noi stessi e di Dio. E di fatto il cuore di questo amico ha desiderato la verità e la santità.

Leggi anche

Tutti gli articoli