Nel rito dell’ordinazione sacerdotale, il candidato si sente rivolgere questo invito: Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore.
Sono parole che riassumono tutta la vita del sacerdote, parole nelle quali non si finisce mai di entrare. Esse indicano un ideale molto alto, vertiginoso: al contempo, sono la descrizione della vita che continua ad attrarre tanti ragazzi che decidono per il sacerdozio.
Ogni vocazione nasce da un fascino che sentiamo per qualcuno: per una donna, per un uomo, per una compagnia, per una forma di vita che vediamo incarnata in una data persona. In ognuna di queste vocazioni si nasconde, in realtà, l’attrattiva, spesso inconsapevole, per Cristo. Nelle storie degli ordinandi che presentiamo nelle prossime pagine, questa attrattiva appare evidente.
Allo stesso tempo emerge una certa resistenza che spesso occorre attraversare prima di abbandonarsi alla volontà di Colui che ti condurrà su un cammino sconosciuto, fino a portarti dove tu non vorrai (Gv 21,18). Ogni vocazione, infatti, implica un sacrificio, quello che nel tempo ci conforma alla croce di Cristo Signore.
Tutta la vita è un cammino per lasciare che questa attrattiva misteriosa domini sempre più le nostre giornate, abbracciando ciò che istintivamente ci spaventa o addirittura ci ripugna. Non si tratta di uno sforzo volontaristico, di stringere i denti tollerando ciò che non ci piace per ottenere ciò che desideriamo. Si tratta invece di riconoscere, nel tempo, che ciò che desideriamo davvero non è quello che avevamo in mente, spesso suggerito da ciò che il mondo propone. È piuttosto il contrario. Se il mondo indica come compimento della vita l’avere tutto, nell’incontro con Cristo scopriamo come ciò che ci attrae veramente è il poter dare tutto. Gesù nel vangelo lo ha detto con queste parole: Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà (Mt 16,25).
Cosa ci affascina così tanto
nella vita dei santi se non questa radicale donazione?
La croce di Cristo porta con sé questa verità: la vita si compie solo nell’offerta totale di sé. Ogni forma vocazionale racchiude questa grande possibilità, e quella sacerdotale ne è il paradigma.
Cosa ci affascina così tanto nella vita dei santi se non questa radicale donazione? Ogni persona che vive la propria vocazione, che sia al matrimonio o alla verginità, ne fa esperienza. Tale dono di sé ci compie perché ci permette di partecipare alla donazione che Cristo sulla croce ha fatto di se stesso.
È lo stesso evento che riaccade ogni giorno nella celebrazione della messa e che ha cambiato la storia del mondo e le vite di milioni persone. Il Cardinal Van Thuan diceva, infatti, che «i santi sono coloro che continuano a vivere la messa durante la giornata». Tutta la vita non è sufficiente per rendersi conto pienamente di ciò che accade nel sacrificio eucaristico. Eppure lentamente si scopre che esso è il cuore di tutto il nostro fare.
Coloro che sono chiamati ad avvicinarsi all’altare e a celebrare questo mistero sono sicuramente dei privilegiati. Tale privilegio è a un tempo un dono immeritato e un compito altamente esigente. Nessuno può infatti pretendere di essere sacerdote: è la Chiesa che ultimamente sceglie coloro che ritiene idonei e di cui ha bisogno. Scegliendoli, affida loro un compito che sarebbe impossibile svolgere se non attraverso l’abbandono nelle mani di Colui che chiama. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga (Gv 15,16) ha detto Gesù nel suo ultimo discorso prima della passione. Questa è la sorgente della pace e dello slancio che il sacerdote è chiamato a vivere. E ciò che rimane, infine, è solo l’offerta di sé.