L’incontro decisivo per la mia vita accadde in quarta ginnasio, durante una delle prime lezioni del professore di Religione che mi invitò ad una riunione di studenti dopo la scuola. La chiamavano “il raggio”. Fu il primo contatto con una compagnia di amici che mi coinvolsero e mi aiutarono a tirare fuori le domande più importanti che portavo nel cuore, a formulare insieme a loro, guidati da una persona più grande, un tentativo di risposta.
Dopo qualche mese ci furono i primi esercizi di Pasqua, il Triduo di Gioventù studentesca a Rimini: nelle parole del prete, don Giorgio, trovai qualcosa che mi corrispondeva profondamente. Da quella compagnia non mi sono più staccato. Tra i seimila che eravamo, ebbi la netta sensazione che quel sacerdote parlasse proprio a me.
Ripensando oggi agli anni delle superiori, non posso che ringraziare il Signore per avermi dato la possibilità di incontrare delle persone vere, che mi amavano e mi amano più di quanto io stesso sappia volermi bene. La caritativa al sabato, il raggio, la scuola di comunità, la messa, diventarono appuntamenti fissi. Sono cresciuto grazie a uno sguardo su di me che lasciava trasparire queste domande: che sarà di lui? Quale sarà il suo destino?
In università, da matricola di Giurisprudenza, riaccadde l’incontro che avevo fatto a 14 anni. Tanti amici mi coinvolsero nella loro vita. Dalle lodi del mattino allo studio insieme per passare gli esami, dalla politica universitaria ai banchetti che accoglievano le matricole, dalla vendita militante di Tracce al giornalino degli studenti, dai rapporti con i professori alla vita in appartamento, facevamo insieme esperienza dei molteplici tentativi di affermare una Presenza nella nostra vita. Grazie a questi amici, ero continuamente richiamato a non dare per scontato quello che c’era tra di noi, il motivo della nostra unità: Gesù Cristo. Con loro ero chiamato a rispondere a una domanda che negli anni mi ha cambiato: che cosa sostiene la tua vita? In che cosa trova soddisfazione? Col tempo, in modo discreto ma deciso, si è affermata in me un’intuizione: dare tutta la vita a quell’incontro fatto da adolescente.
Un’esperienza in particolare è stata decisiva: la rappresentanza studentesca in università. Andare a fondo delle ragioni e anche della fatica di questo impegno, ha fatto sì che scoprissi di voler vivere tutti i rapporti nella verità, nella pienezza. Così, durante l’ultimo anno di università decisi di entrare nel seminario della mia diocesi, Chiavari.
È stato un tempo fondamentale, soprattutto perché ha permesso l’approfondirsi della mia vocazione. I rapporti di amicizia con i compagni di viaggio, lo sguardo dei superiori, la paternità del mio vescovo, mi hanno aiutato a capire che ero chiamato ad una vita sacerdotale nella fraternità e nella missione. Così sono giunto a Roma, alla San Carlo.
Una frase di Mounier mi ha accompagnato in questi anni come un richiamo costante: «È dalla terra, dalla solidità, che deriva necessariamente un parto pieno di gioia e il sentimento paziente dell’opera che cresce, delle tappe che si susseguono, aspettate quasi con calma, con sicurezza… Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne».
Con immensa gratitudine, ricevo il dono del sacerdozio, consapevole che non è un regalo da custodire gelosamente per me, ma da spendere per le persone che incontrerò.
(Nell’immagine, don Marco Vignolo, al centro, durante festa dopo l’ordinazione)