Accompagnati in caritativa presso una casa di riposo, i ragazzi di Taipei imparano l’importanza del tempo, pieno della presenza di Cristo

«Ogni sabato, se non sono qui con voi, sento la mancanza di qualcosa di importante per me, anche se non so bene che cosa sia». Risponde così NingHan, conosciuto come Renato al dipartimento di italiano dell’università FuJen di Taipei, alla domanda che ci siamo posti dopo l’ultima caritativa dell’anno, davanti ad un buon caffè (italiano ovviamente) e a un’ottima macedonia di frutta tropicale (taiwanese questa volta).
Da due anni, infatti, insieme ad altri studenti nostri amici, Renato partecipa ogni sabato alla caritativa iniziata qui diversi anni fa. Un gesto semplice e forse proprio per questo capace di lasciare un segno profondo nell’esperienza di ciascuno, anche in chi, come loro, ha appena iniziato a conoscere il cristianesimo.
Alle 12:30 comincia a suonare il campanello di casa, e, uno alla volta, gli studenti arrivano da noi per pranzare insieme (anche se per alcuni si tratta della colazione…) e poi fare insieme caritativa.
Dopo il pranzo, leggiamo Il senso della caritativa, di don Giussani, e ognuno reagisce alla provocazione del testo, ponendo per lo più delle domande. Subito dopo proviamo alcuni canti e poi si va. Fuori, intanto, sono già arrivati i bambini, che nell’attesa dei “professori” improvvisano una partita a basket. Dopo diversi richiami per “staccarli” dalla palla si entra tutti nel centro parrocchiale e si canta insieme. Alcuni universitari rimangono lì per aiutare i bambini del quartiere a fare i compiti.
Un secondo gruppetto parte, armato di chitarra e libri dei canti, e dopo 15 minuti di cammino giunge a destinazione, suona alla porta, e si trova davanti le simpatiche facce di tanti anziani che iniziano a salutarci nelle diverse lingue che parlano abitualmente, dal giapponese al dialetto taiwanese, passando per il cinese.
Prima si sale al secondo piano, dove ci sono coloro che hanno più bisogno di assistenza. Ci si siede e, tra un canto e una battuta, ci si fa compagnia. Spesso non ci sono grandi reazioni da parte del “pubblico” – sono molto malati – ma non per questo ci si ferma, perché, come ha detto un’altra studentessa, Allegra Liào, «Anche se a volte sembra che non ci sentano neanche, io so che il loro cuore sente il nostro affetto per loro, che tra tutti sono quelli che ne hanno più bisogno».
Dopo circa mezz’ora si scende al piano terra, dove ci sono gli anziani che interagiscono meglio. Anche con loro si scherza, si canta e si gioca addirittura a palla. Le prime volte cantavamo le canzoni consuete, in inglese, spagnolo, cinese o italiano. Finché una signora ha protestato: «Non capiamo quello che cantate!». Da allora cerchiamo di proporre qualche canto in dialetto taiwanese: colpisce vedere come durante il canto capita spesso che a qualcuno di loro scenda una lacrima, portando con sé chissà quali ricordi e mettendoci davanti al mistero di ognuno di quegli sguardi, che è anche il nostro, come dice Ines Wu: «Quei volti ci rivelano noi stessi. Anche noi come loro desideriamo non essere soli, essere felici». Allora diciamo semplicemente: «Grazie della vostra compagnia!».
Dopo le fotografie di rito ci salutiamo – sempre in varie lingue – e ritorniamo verso casa col cuore colmo di una misteriosa gratitudine, in attesa di riunirci per vedere com’è andata nei due diversi ambiti.
L’ultima volta ci siamo chiesti che cosa abbiamo portato a casa dopo un anno di caritativa, ed è stato sorprendente ascoltare le varie risposte. Annalisa Wu, con la sua consueta (e solo apparente) durezza, risponde di getto: «Vengo qui perché si mangia bene!», ma dopo dieci secondi di silenzio aggiunge: «Quello che ricevo qui è più di quello che dono, è per questo che continuo a venire». «Sono diversi anni che partecipo alla caritativa – fa eco Emilia, battezzata lo scorso anno – e ho imparato innanzitutto che per accompagnare gli altri bisogna essere accompagnati. Infatti, se non ci foste voi, io non andrei né all’ ospizio né ad aiutare i bambini».
Conclude Renato: «Di solito al sabato facevo come tutti, dormivo ad oltranza fino al pomeriggio. Adesso non riesco più a farlo perché so che il tempo è un dono prezioso che non voglio sprecare».
Chi ci dona il tempo e lo riempie della sua presenza è Cristo. Nella caritativa tutti possiamo intuire questa esperienza. Ed è un cammino, nell’attesa della grazia che ognuno di questi ragazzi possa dire con consapevolezza ciò che è già presente: «Noi andiamo in “caritativa” per imparare a vivere come Cristo».

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