L’esperienza a scuola di don Roberto Amoruso da Roma a Washington, passando per Nairobi. Ma sempre dall’interno di una comunione vissuta.

Come si entra in classe? I primi volti che incontro ogni mattina, quando apro quella porta, sono i loro. Ogni ragazzo porta scritti sul viso i segni della speranza, della sofferenza, dei desideri che ha dentro, la traccia particolare di una cultura, di una visione della vita e del mondo. Poche o tante che siano, le persone che mi trovo davanti vengono da un “altro mondo”: arrivano da una casa e rimangono nell’aula con me per 50 minuti, ad imparare. Poi tornano al loro mondo. Proprio come me. Anch’io sono un altro mondo: quale? Qui comincia la sfida.
All’inizio dell’insegnamento, ventidue anni fa, ero emozionato. Cominciavo ad insegnare in un liceo di Roma. Era la borgata, mi preparavo all’arrembaggio! Solo dopo il primo impatto, ho cominciato a chiedere aiuto e consiglio perché ne avevo bisogno. Ma la cosa interessante nata da quei primi giorni a scuola, più che l’aiuto ricevuto, è stato il lavoro che è iniziato. Da Centocelle a Nairobi, a Washington. Dall’essere solo al ricevere aiuto, fino a vivere una comunione, una fraternità. Guardare me e la classe, gli alunni a scuola e i preti che vivono in casa con me, è diventata una necessità che non si può ridurre al giudizio – che pure segna la fine di ogni giornata – su «com’è andata». È uno sguardo che diventa memoria vissuta.
Per un insegnante, la classe è il luogo della santità, uno spazio che deve essere curato, preparato e vissuto adeguatamente. Per me, è il luogo dove la Fraternità san Carlo si avvicina agli studenti, si propone, diventa un invito a conoscere Gesù e la Chiesa, prima di tutto, e quindi un invito a partecipare a una cultura nuova, dove non si è mai soli. Una cultura fatta di comunione. Il lavoro è sempre personale, è vero, sono io la persona presente in classe. In questa comunione, però, è appunto l’io che cambia. Papa Benedetto XVI lo ha chiarito con la sua famosa definizione di battesimo, in cui «il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande». La vita con i fratelli sacerdoti in casa è un’esperienza di comunione che dilata il mio io fino a includere grandi orizzonti. In questo modo, la comunione può entrare nel mio rapporto con gli studenti o con chiunque io possa incontrare. A me è chiesto di partecipare a quanto il Signore ha compiuto. In ogni momento del mio quotidiano mi è chiesto di fare memoria di quanto è accaduto. Anche quando entro in classe ogni mattina.
(Foto Nathan Russell)

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