La vita di Lucie è cambiata da quando ha incontrato i sacerdoti della san Carlo in missione a Praga.
Emma Neri ci racconta la sua storia.

La prima notizia è che Lucie ha trovato quello che cercava: «Ogni giorno sperimento l’avventura di essere amata». Tra Praga e Milano, sta verificando la vocazione alla verginità attraverso il noviziato nei Memores Domini. La seconda notizia è che, contrariamente al suo concittadino più famoso, Kafka, che conosceva la meta ma non la via, lei ha trovato la strada. Stretta nel vincolo di un’amicizia che l’ha abbracciata e accompagnata, ha riordinato tutti i legami, mettendo al posto giusto le domande, le circostanze e gli affetti. «Sono stata fortunata» ride. Ed è vero. Intanto racconta la sua vita d’un fiato, selezionando, tra le cose da dire, ciò che ha di più caro.
Nel 2003, un giovane prete della San Carlo, Stefano Pasquero, è a Praga, chiamato dal cardinale Vlk a seguire gli universitari. Su una bacheca trova un avviso. Dice che il martedì sera ci si trova a leggere la Bibbia. Quando arriva, vede uno sparuto gruppetto di ragazzi e un pastore protestante americano, che parla il ceco benissimo e commenta versetti dell’Antico Testamento. Stefano, che in ceco balbetta appena qualche parola, si presenta come il cappellano cattolico dell’università. L’effetto è glaciale: disagio e sorpresa. Poi arriva lei, Lucie: vivace, simpatica, affascinante per quella apertura umana che la rende così diversa dagli altri. «Mi ha commosso il suo coraggio. Solo il fatto che qualcuno arrivi nella Repubblica Ceca, anche senza sapere la lingua, con l’unico scopo di comunicare Cristo in una terra di atei, colpisce. E la sua presenza provocava tante domande».
Lucie è cattolica grazie alla tradizione della famiglia materna. Dopo il divorzio dei genitori, vive per alcuni anni in casa di un’amica della madre, dove viene educata ad una religiosità concreta di cui lei, una volta arrivata a Praga per studiare, continuerà a cercare le tracce. L’amicizia con Stefano, e poi con Andrea Barbero, un altro prete torinese della Fraternità, risveglia «la fede che avevo già vissuto e che non volevo perdere». Dei preti italiani, la stupiscono molte cose: «L’unità tra loro, la capacità di correzione: non credevo possibile che un richiamo potesse generare sicurezza, gioia e anche pace». L’hanno educata a coltivare la diffidenza ma lo stupore prevale: «Mi volevano bene» racconta. «Non si limitavano a dirmi che Cristo dona tutto quello che serve, erano interessati al mio bisogno concreto. Mi hanno aiutato con i soldi, con lo studio e anche con il tempo. Me ne hanno dato tantissimo. Mi hanno fatto sentire una regina».
C’è un punto di non ritorno, in questa storia. Lucie ha un fidanzato. Relazioni precedenti le hanno lasciato l’amaro in bocca e un vuoto nel cuore. Così, lei chiede a Dio di darle un segno. E riceve un grande dolore: lui la tradisce. C’è un solo posto dove andare per essere aiutata a capire. Stefano e Andrea la ascoltano e restano zitti: «Lì per lì mi sono arrabbiata. Mi lasciavano il peso sulle spalle. Poi ho capito che il loro silenzio mi permetteva di vedere meglio il segno di Dio dentro le circostanze». Passa un po’ di tempo, Lucie ha ritrovato la gioia di vivere. Nella comunità è un punto di riferimento, ogni giorno invita una persona nuova. Don Andrea non la prende alla larga: «Lo sai che esiste una possibilità di verificare la vocazione alla verginità?». Lei ha già capito da sola che il suo innamoramento per Cristo passa attraverso la comunità. «Volevo dire subito sì. Non l’ho detto, però dentro di me un sì grandissimo urlava per uscire. Il mio cuore era pieno di questa felicità che volevo iniziare a vivere in modo definitivo». Ripensando alla corrispondenza vissuta in quel momento, Lucie riconosce oggi un altro fattore dell’attrazione che la lega a Stefano e Andrea: «Mi hanno sempre detto la verità, da amici. Per questo sono stati autorevoli ai miei occhi».
L’intervista è finita, c’è spazio solo per una battuta finale dedicata a Praga e alla sua storia: alla resistenza morale al comunismo, al potere dei senza potere che aveva commosso il primo missionario, don Francesco Ricci. Cosa è rimasto di quell’umanesimo che sembrava preparare l’Occidente alla fede? «La proposta della Chiesa dopo la caduta del Muro non è stata affascinante. Non ha offerto alle persone Cristo ma solo regole». Però, dopo c’è stata un’altra rivoluzione, suggerisce Lucie. Ed è ancora in atto. «La rivoluzione dei missionari di san Carlo Borromeo è questa: non hanno dato solo le regole ma se stessi. È un cambiamento enorme. Perché quello che ci attira, che ci affascina e ci interessa, è l’umanità di uomini vivi. Come loro».

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