Sergej ha incontrato la comunità di Cl a Mosca, durante la caritativa dalle suore di madre Teresa di Calcutta. L’ho conosciuto quando ha iniziato a frequentare anche la Scuola di comunità. Non è persona di tante parole ma è bastato poco per intuire che era un uomo seriamente impegnato con la vita. Alle spalle, aveva molti anni di lavoro come giornalista e volontario in Medio Oriente. Sposato da due anni con Anya che proviene dalla sua stessa città in Tagikistan, vive con lei a Mosca.
All’inizio di agosto, Sergej e Anya hanno perso una bimba all’ottavo mese di gravidanza. Il cuore di Angelina ha misteriosamente cessato di battere dopo due giorni dall’ultima visita in cui non era stata riscontrata nessuna complicazione:
“Padre, perché Dio ci ha donato una figlia per poi strapparcela prima ancora che potessimo abbracciarla? Padre, in questo momento la mia fede è molto fragile”. Non vorremmo mai trovarci ad affrontare un dolore così lacerante. Mai! È come se ad un tratto si tornasse a riscoprire la propria terribile impotenza. Chi potrebbe rispondere alla domanda di questi genitori? Ogni volta che accade, mi torna in mente il commovente dialogo tra Ivan e il fratello Alëša nel romanzo di Dostoevskij I fratelli Karamàzov. Dice Ivan:
«Io voglio vedere con i miei occhi il daino sdraiato accanto al leone e la vittima che si alza ad abbracciare il suo assassino. Voglio essere presente quando d’un tratto si scoprirà perché tutto è stato com’è stato. Tutte le religioni di questo mondo si basano su questa aspirazione, e io sono un credente. Ma ci sono i bambini: che cosa dovrò fare con loro? […] Se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l’armonia eterna, che c’entrano qui i bambini?».
“Sergej, ascolta” gli rispondo balbettando. “Io non so dirti il perché, non lo so! Ti posso solo dire che mi fido di Dio, che misteriosamente, non so come, anche questo dolore c’entra con il suo amore e con il vostro destino ultimo. Se non consideri questa verità, elimini l’unica risposta possibile. Dubitare della bontà di Dio è diabolico: il demonio non può farci credere che Dio non esista, anche per lui è irragionevole pensarlo. Ma che sia ingiusto, questo sì”.
Tre settimane fa, l’ospedale ha consegnato ai genitori il corpicino di Angelina, così abbiamo potuto celebrare il funerale. Una piccola bara ricoperta di merletto rosa è stata portata nel bosco del cimitero.
Mentre celebravo il rito funebre, mi domandavo perché il Signore avesse voluto proprio me lì. Mi sono reso conto che non ero lì semplicemente per compiere un rito. La mia presenza era la compassione, il volto buono di Cristo per quei genitori. Senza di me, senza la presenza di Cristo, ci sarebbero stati solo dolore e tragedia. Come mai mi era successo prima, ho colto che solo una presenza riconosciuta e accolta dona senso all’istante che viviamo. Non un pensiero, non la conoscenza della dottrina ma la presenza di Cristo, tanto misteriosa quanto reale e necessaria.
Quando sono diventato sacerdote, celebrando la messa, prendendo consapevolezza di ciò che accadeva sull’altare attraverso le mie mani, riconoscendo la sproporzione tra il dono ricevuto e la mia pochezza, pensavo ingenuamente che il tempo mi sarebbe stato dato per accorciare questa distanza. Invece la distanza si dilata perché il tempo mi permette di entrare nell’abisso di ciò che sono per grazia e vocazione: la compagnia di Cristo per l’uomo sempre più solo.
(Gampiero Caruso è cappellano della comunità italiana in Russia, e insegnante di Religione a Mosca. Nella foto, una via della città)