Fin da piccolo, la presenza di Dio, silenziosa e misteriosa, mi ha accompagnato come una certezza della quale non ho mai dubitato. Certamente in famiglia si è sempre vissuta la fede e questo si percepiva a partire dalle scelte dei miei genitori (la messa alla domenica e non solo, gli amici che frequentavano, la partecipazione ai gesti del movimento, l’affetto gratuito verso le persone che bussavano alla porta di casa). Cristo era un fatto imprescindibile delle nostre giornate. Mi rimangono impresse nella memoria e nel cuore certe frasi dei miei genitori, certi atteggiamenti quando partecipavano alla messa… Qualcosa si è scolpito nella mia anima, della quale loro – papà e mamma – erano ignari però fedeli servitori. Ero affascinato dai misteri dell’altare perché percepivo il divino che doveva esserci. Forse risale a questi anni dell’infanzia il primo germe della mia vocazione.
Nell’adolescenza, l’esperienza fondamentale fu la partecipazione al gruppo dei Cavalieri perché iniziava a diventare cosciente in me il dono della fede ricevuta da piccolo. Vivevo una amicizia bella e coinvolgente, una esperienza di comunità, ma non afferravo totalmente il nesso con la persona di Cristo. Tuttavia, mi fidavo degli adulti che ci guidavano perché vedevo in loro una unità e una serietà nei nostri confronti che non esisteva in nessun altro luogo: Checco, Fabri, Cri, Rosanna, don Gigi… Si diceva che Cristo viveva ed era presente nella comunità, nell’amicizia che vivevamo, nella Chiesa.
Un passo segnò la mia vita in modo indelebile: l’esperienza di Gioventù studentesca, durante le superiori. Credo che Gesù abbia voluto espressamente avvicinarsi a me in quegli anni come un dono gratuito e darmi la grazia di aprirmi a questa relazione. Altri volti, altri luoghi determinanti a segnare il cammino. Fra i molti, senza dubbio l’innamoramento per le Dolomiti, la passione per le scarpinate e le ferrate, per i boschi e le valli, sempre accompagnato dagli amici di Gs. Nel silenzio della vetta, nella contemplazione del creato che si stendeva sotto i miei piedi, percepivo una volta di più quella presenza buona che viveva anche nella compagnia. Fra le varie persone che ci accompagnavano, una soprattutto è stata un faro per la scoperta della mia vocazione: Matilde, una memor domini. La sua gratuità, il suo sguardo, la voce cristallina che si esprimeva nel canto a Dio, mi fecero intravvedere per la prima volta l’esperienza della verginità. Senza mai parlarne esplicitamente, capivo che la vita spesa per Cristo valeva la pena. Quando poi Matilde si ammalò e lasciò questo mondo, la sua testimonianza si fece ancora più forte ai miei occhi. Per Cristo si può soffrire e morire.
Il tema della vocazione affiorò nuovamente alla fine del primo anno di università. All’inizio non volevo accettarlo, nonostante tutti i segni che avevo ricevuto fino a quel momento. Stavo all’università, avevo trovato una morosa, vivevo la vita del Clu. Confesso che mi sconquassò non poco il dover prendere una decisione. Tuttavia, l’attrazione che esercitava la promessa della vocazione al sacerdozio fu più forte. Era la promessa di una vita piena, veramente umana, al servizio di quella compagnia che mi aveva da sempre accompagnato e nella quale avevo vissuto l’esperienza di una amicizia vera e profonda. Era il fascino di portare Cristo agli uomini. Detto e fatto: grazie ai consigli e all’accompagnamento di don Paolo Sottopietra, iniziai il cammino di verifica e giunsi in due anni a riconoscere nella Fraternità il cammino che Dio aveva pensato per me. Sarò sempre grato a don Paolo, perché in ogni momento e tappa del discernimento mi lasciò davvero libero, desideroso di scoprire assieme a me quello che Dio operava. Non mi disse mai una sola parola sulla direzione che avrei dovuto prendere. Del resto, solo quando effettivamente entrai in seminario, nel settembre del 2015, iniziai a rendermi conto che quella era casa mia, il luogo dentro il movimento dove Cristo voleva farmi sempre più suo. Educarmi, correggermi, amarmi. Mi inondava, progressivamente, la gioia calma della fede e dell’adesione alla vocazione.
Nell’immagine, Gabriele Saccani in cucina con alcuni ragazzi della parrocchia Maria Inmaculada di Città del Messico durante una convivenza.