Una proposta interessante, che viene dalla comunione, ci risveglia e ci getta nella realtà: una convivenza con i ragazzi di Città del Messico.

Tra le tante cose accadute negli ultimi mesi, da quando sono arrivato in Messico, ce n’è una che più delle altre mi preme raccontare, la convivenza a Tlalpan che abbiamo recentemente fatto con il gruppo delle superiori. Hanno aderito venti ragazzi, alcuni “fedelissimi”, altri che venivano per la prima volta. C’è un fatto emblematico che descrive bene che esperienza sia stata per questi giovani dai 14 ai 18 anni. Una ragazza, chiamiamola Laura, si iscrive su pressione della mamma. Quando la vediamo per la prima volta, in parrocchia, appare evidente che non sta bene. Non si guarda intorno, non alza gli occhi su chi le rivolge la parola. Ha un’espressione spenta, le spalle curve… Tutto in lei dice di una tristezza, di una perdita di voglia di vivere, di una noia.
Iniziamo la convivenza con una intensità che i ragazzi avevano dimenticato in questo anno e mezzo di chiusura in casa. Sveglia presto alla mattina, preparazione della colazione (che qui è un pasto vero e proprio), lodi. Una veloce pulizia alla cucina e via, in montagna: camminata nel bosco, gare nel prato. Quando si ritorna alla casa della convivenza, un pranzo leggero, altri giochi, un momento di dialogo. Poi, i vespri, la preparazione della cena, la messa. Facciamo tutto assieme: cuciniamo, laviamo, allestiamo la sala da pranzo. Alla sera, un film, una testimonianza, una grigliata. Insomma, giorni belli, intensi, all’insegna di un’amicizia che cresce e si approfondisce. Ci eravamo proposti di andare a fondo della stessa parola “convivenza”, vivere con, e di verificare un’ipotesi: è meglio vivere in comunione, anche quando costa ed esige fatica, o starsene da soli in casa, davanti a uno schermo? A proposito, niente cellulari per quattro giorni. Mi ha veramente sorpreso come hanno risposto i ragazzi, come cambiavano giorno dopo giorno, come accettavano la proposta. E la ragazza nuova? Si può dire che questi quattro giorni sono stati per lei una resurrezione. Innanzitutto, via la mascherina (partiamo tutti con un tampone Covid negativo e creiamo la nostra “bolla”). Laura inizia a sorridere un po’, si lascia coinvolgere da due ragazze più grandi. Addirittura ride, guarda gli altri, accetta la proposta. Nei giochi, di tanto in tanto vuole uscire. La richiamano e ci sta. Abbandona la sua posizione isolata e inizia a stare a mollo nel gruppo. È un grande cambiamento. Qualcosa che lei proprio non si aspettava e nemmeno noi.
Questi giorni mi hanno testimoniato con forza quello che spesso ci diciamo: è impressionante il cuore umano perché sempre riemerge, risponde. Quando accoglie una proposta interessante, si butta nella realtà e si risveglia. Anche in Messico, anche in situazioni sfavorevoli (molti dei nostri ragazzi vivono esperienze difficili in famiglia…), anche in mezzo alla pandemia, il cuore desidera vivere una comunione, desidera amare ed essere riamato. È stato bellissimo vivere una comunione tra noi adulti, condividere le giornate, spendersi per ciò che ci sta a cuore, investire risorse ed energie in questo compito appassionante di educare alla vita e alla fede. Anche alla fede perché, in questi giorni di vacanza, è stato inevitabile rendersi conto che Dio è la fonte della comunione e dell’amicizia, che senza di Lui non è possibile una intensità come quella che abbiamo sperimentato. Dire che Dio è amore, come scrive Giovanni nel suo Vangelo, significa dire che “Dio è comunione”. Davide ed io ne siamo stati testimoni.

 

Nella foto, Gabriele Saccani, ordinato diacono lo scorso giugno, durante una convivenza con i ragazzi a Tlalpan, Città del Messico.

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