È Avvento, si avvicina il Natale. Nel grande corridoio di casa compare un tavolo: è il segno che si prepara il presepe. Io e i miei fratelli andiamo a raccogliere il muschio, la mamma prepara la base per modellare il paesaggio e la carta blu con le stelle per il cielo. Mettiamo la capanna, creiamo qualche grotta per i pastori, posizioniamo le statuine e, infine, sistemiamo tante candeline. Ogni sera, prima di andare a dormire, tutta la famiglia si riunisce, si accendono le candele, si spengono le luci della casa e si prega insieme in attesa di Gesù Bambino. La preghiera finisce con un canto. La mia famiglia non si è mai distinta per le sue doti canore, ma sono certa che quei canti, anche se non proprio intonati, hanno sempre fatto piacere al Bambino Gesù.
Questo è il ricordo particolare che mi torna in mente quando penso ai primi passi che la mia fede ha mosso. Nella semplicità della vita quotidiana della mia famiglia, vedendo i miei genitori sempre pronti a uscire di casa per andare ad aiutare chi aveva bisogno, ascoltando la mamma che mi raccontava dell’affascinante vita di Gesù, andando con la nonna a portare i fiori alla Madonnina, ho imparato a conoscere Gesù, a scoprirlo come amico nella mia vita.
Una bellezza da comunicare
Quando avevo circa sei anni, nella mia parrocchia è arrivato un nuovo giovane sacerdote: don Livio. Con lui sono cresciuta, grazie a lui ho incontrato il movimento di Cl. Negli anni delle medie e delle superiori, io e i miei amici, seguendo lui, abbiamo scoperto la bellezza dell’amicizia cristiana. Tra lunghissime passeggiate in montagna, oratori estivi coi bambini, pomeriggi di studio insieme e tante avventure, abbiamo scoperto una possibilità di amicizia e di compagnia così bella che non potevamo non tentare di comunicarla ai nostri amici. L’idea di missione è nata in me in quegli anni, come naturale desiderio di comunicare a tutti la bellezza che stavo vivendo.
Da Milano a Czestochowa…
Poi è giunto il momento in cui ho dovuto lasciare la mia amata Valtellina per frequentare l’università a Milano. Dopo un primo periodo un po’ faticoso, perché la città mi sembrava così grande e impersonale, ho scoperto in università nuovi amici, coi quali ho potuto condividere la stessa bellezza che avevo sperimentato al liceo. In quel periodo non avevo in mente la vita religiosa. Il mio grande desiderio era quello di essere madre, di avere una famiglia con tanti figli. Conobbi le suorine del Martinengo: ogni settimana andavo ad aiutare i bambini del doposcuola di piazzale Corvetto. Attraverso Rosa, Anna e Fulvia iniziai a scoprire come fosse possibile vivere la maternità, una maternità feconda, nella verginità. Alcuni amici cari mi comunicarono l’intenzione di donare tutta la loro vita a Cristo nella verginità. Il Signore mi stava facendo un invito, discreto, ma allo stesso tempo ineludibile. Ne parlai con un sacerdote e iniziai a verificare insieme a lui se quella fosse davvero la strada che Dio aveva in mente per me.
Il 24 marzo 2007 andai a Roma per l’incontro del Papa con il Movimento. Papa Benedetto ripeté l’invito fatto da papa Giovanni Paolo II trent’anni prima: «Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo Redentore». Sentii quelle parole come rivolte a me. Non sapevo che cosa ciò significasse, ma da allora le custodii in attesa che svelassero il loro significato per la mia vita. Nell’estate 2007 partecipai al pellegrinaggio Cracovia – Czestochowa. A guidarlo c’era don Andrea Barbero, sacerdote della Fraternità san Carlo. Mi colpirono le sue parole, mi colpì come lui stesso vivesse il pellegrinaggio. Soprattutto mi colpì l’amicizia e la comunione che vidi tra lui e altri sacerdoti della Fraternità che partecipavano al pellegrinaggio. Tornata a casa, andai sul sito della Fraternità san Carlo e lessi Il nostro volto, una breve descrizione di ciò che le Missionarie di san Carlo, che avevano ottenuto il riconoscimento diocesano qualche mese prima, desiderano essere. Intuii che lì c’era qualcosa che stavo cercando: era venuto il momento di conoscere quella realtà.
…e da Roma a Nairobi
L’occasione si presentò il dicembre successivo. Michele, un mio caro amico dai tempi delle superiori, era entrato nel seminario della Fraternità quell’anno e mi invitò a Milano per la consueta messa natalizia della Fraternità. Conobbi in quella occasione don Paolo Sottopietra. In seguito ci incontrammo alcune volte a Milano. Gli raccontai la mia storia, il mio desiderio di conoscere le Missionarie di san Carlo. Don Paolo mi invitò a Roma in occasione dei voti temporanei di suor Rachele Paiusco.
Conobbi Rachele quel giorno. Mi colpì molto la cerimonia per la semplicità e, allo stesso tempo, la grandezza di ciò che stava accadendo: una ragazza come me desiderava e osava donare tutta la sua vita a Dio. In aprile tornai a Roma a conoscere la casa delle Missionarie di san Carlo ed ebbi l’occasione di parlare a lungo con Rachele. Quel dialogo mi segnò profondamente: avevo trovato qualcuno con cui potevo condividere i desideri più profondi della mia vita. Fu l’inizio della nostra amicizia. Tornai a Milano certa d’aver trovato la mia casa. A settembre lasciai il mio lavoro di maestra elementare ed entrai nelle Missionarie di san Carlo. Da allora sono già passati sei anni, ricchi e intensi, che mi hanno condotta inaspettatamente a Nairobi, in Kenya, dove vivo da un anno.
Una maternità feconda
Tre sono i doni più preziosi di questo primo anno in missione. Il primo è la grazia della comunione con le mie sorelle, la possibilità di condividere e di giudicare insieme ciò che quotidianamente viviamo; la scoperta che la diversità è un dono che permette di imparare continuamente le une dalle altre, che evita il rischio di adagiarsi su ciò che si crede già di sapere. Il secondo è l’aver trovato qui una comunità del movimento viva e piena di storia, in cui la presenza di persone chiamate a vivere la stessa esperienza di pienezza secondo vocazioni diverse (famiglie, giovani, sacerdoti, Memores Domini, suore, laici…) è un invito a guardarsi l’un l’altro per sostenersi nel cammino. Il terzo è la possibilità di sperimentare la fecondità della maternità in una vita chiamata alla verginità. Vivo questo ogni giorno nel rapporto con le mie sorelle, nel mio lavoro a scuola coi bambini a cui insegno, con tutte le persone che incontro in missione.
Il Signore mantiene ciò che promette, porta a compimento i desideri più grandi che ci pone nel cuore. Di certo, quasi sempre, secondo vie inaspettate, che non avevamo assolutamente immaginato.