Don Giussani, nostro padre e maestro

In un ricordo di don Luigi Giussani emerge una visione unitaria della realtà, una eccezionale intelligenza della Scrittura e una passione totale per l’umano.

Don Giussani all’eremo del Beato Lorenzo, a Subiaco, anni 60. Foto di Elio e Stefano Ciol – Tutti i diritti riservati

Quando torno con il pensiero a don Giussani, rivedo molti aspetti del suo carisma che hanno segnato la mia vita in modo particolare. Ne scelgo tre.

Don Giussani aveva il dono di una visione profondamente unitaria della realtà. Questa fu una delle prime caratteristiche che mi colpì di lui, durante gli studi in università. Ascoltandolo tante volte parlare, durante le lezioni che teneva in Università Cattolica a Milano oppure nei frequenti incontri del movimento di Cl, rimanevo stupito dalla sua capacità di stabilire collegamenti. Diceva che la ragione era «apertura alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori». Ci insegnava che il senso del particolare si scopre nel «nesso che lo lega al tutto» e che proprio questo significa «giudicare». Queste definizioni non erano però una teoria. Manifestavano piuttosto qualcosa di ineguagliabilmente presente nel suo modo di pensare, di vedere le cose, di vivere. Ogni sua riflessione muoveva da una sintesi potente e affascinante, libera e insieme solida. In qualunque particolare sapeva vedere l’intero. Ascoltando lui, tutto sembrava prendere ordine.
Nello stesso tempo, la sintesi di pensiero, di fede e di vita che comunicava era percorsa da forti tensioni. Giussani era una personalità drammatica. La sua riflessione era sempre inquieta e insieme profondamente pacificata. Assistere alle sue lezioni o sentirlo rispondere alle domande era una esperienza intensa: mai soddisfatto delle formulazioni raggiunte, sentiva il bisogno di descrivere e ridescrivere continuamente le verità che contemplava. Ci insegnava così a cercare la novità non in ciò che è diverso, ma nell’approfondimento del vero.

Don Giussani aveva poi il dono di leggere il vangelo rendendolo vivo. Anche questa esperienza fu per me decisiva nell’incontro con lui. Il Cristo di cui parlava era vicino, era l’«uomo Cristo». Una «umanità eccezionale», diceva, per farci comprendere che cosa significasse «divina». La vita e la persona di Gesù iniziarono così per me a prendere contorni precisi e l’amore per Lui cresceva.
Quando furono pubblicati i primi scritti di don Giussani, lessi che fin dall’inizio della sua opera tra i giovani aveva sentito la necessità di presentare «il vangelo nudo, nella sua fortezza e semplicità». Anch’io sono stato toccato attraverso di lui dalla bellezza unica della parola di Dio, dalla forza elementare che le riconosceva.
Ricordo un’assemblea che si svolse nella sala del PIME in via Mosè Bianchi a Milano. Uno di noi parlò davanti a tutti di una situazione di ingiustizia e dolore che non sapeva come guardare. Usando poche e precise frasi, Giussani ci mise davanti all’evidenza del fallimento di ogni filosofia. Nessun ragionamento umano poteva spiegare il mistero del male. «E allora cosa rimane?», ci chiese. «Solo un fatto può dar senso al dolore e al male. Un uomo crocifisso!». Fu forse la prima volta, da adulto, che sentii vicina la croce. Giussani ci apriva alla comprensione delle Scritture non solo perché sapeva farci entrare nelle scene narrate, ma soprattutto perché ce ne faceva comprendere il concreto riferimento alla nostra vita.

Giussani ci trasmetteva un’esperienza viva di appartenenza alla Chiesa.

Da ultimo voglio ricordare la passione con cui Giussani ci proponeva la vita cristiana come esperienza di amicizia.
Un giorno lo sentii citare un bellissimo passo di san Massimo il Confessore. Parlava di Cristo come di «un centro in cui le linee convergono, un luogo comune dove tutte le cose possono manifestare la loro amicizia e la loro pace». Quelle parole potevano essere un ritratto di Giussani stesso. A partire dalla sua esperienza di Cristo, egli si sentiva legato a tutto e a tutti. Provava un naturale interesse per le situazioni e le persone con cui entrava in contatto e lo comunicava. In tutto sapeva vedere qualcosa di familiare.
In questo modo Giussani ci trasmetteva un’esperienza viva di appartenenza alla Chiesa. Ricordo il mio stupore quando, durante l’ultimo anno di università, incontrai le piccole comunità del movimento degli Stati Uniti, dove trascorsi un anno in compagnia di un’amica e compagna di studi. Ebbi l’impressione che attorno a don Giussani gli Atti degli apostoli avessero ripreso vita. in un mondo così diverso dal nostro nascevano comunità come quella dalla quale venivamo. Persone diverse si riconoscevano profondamente accomunate dall’incontro con lui e nello stesso tempo sentivano di vivere grazie a lui nel solco dell’unica tradizione della Chiesa. La Chiesa diventava così per noi un’amicizia che scavalcava gli oceani e univa angoli della terra altrimenti lontanissimi. Il mondo diventava casa nostra e ogni uomo un fratello.

Nella messa che celebriamo nella nostra casa di formazione a Roma, chiediamo tutti i giorni «che don Giussani interceda per noi presso il Padre». In questo modo vogliamo manifestare la nostra gratitudine per tutto quello che ci è stato donato attraverso di lui e ci affidiamo costantemente alla sua preghiera. Mentre noi camminiamo ancora nella storia, don Giussani continua ad esserci padre e maestro. In cielo poi ritroveremo, più belli e potenti, i legami che Dio ha stabilito tra noi sulla terra.

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