In occasione di quest’anno commemorativo dei Cento anni dalla nascita di don Giussani, condivido alcune riflessioni a partire dal mio ricordo di lui.
Don Luigi Giussani fu certamente un grande riformatore. Anche se egli non usò quasi mai questa parola, in realtà tutto l’intento della sua vita fu di rivelare la freschezza e il fascino originario della vita cristiana. Egli scoprì che il cristianesimo è un avvenimento, cioè l’incontro con una persona presente carica di un’attrattiva misteriosa capace di mutare completamente l’orientamento della vita. Chi incontra Gesù diventa veramente uomo. Riceve un’esistenza cento volte più intensa e più vera: nel campo delle conoscenze, degli affetti, della realizzazione di sé.
A Giussani non poteva bastare un cristianesimo ridotto a un insieme di verità da credere o di regole da rispettare, non gli bastava né la dottrina né la morale. Invece vedeva quanto la Chiesa del suo tempo avesse perduto quella capacità originaria di presentare l’evento cristiano in tutta l’ampiezza della sua promessa. Per Giussani Cristo era la massima convenienza per l’uomo di ogni tempo. «I contenuti della fede hanno bisogno di essere abbracciati ragionevolmente, devono cioè essere esposti nella loro capacità di miglioramento, illuminazione ed esaltazione degli autentici valori umani». Si trattava dunque «di rifare l’annuncio del cristianesimo come avvenimento presente, umanamente interessante e conveniente all’uomo che non voglia rinunciare al compimento delle sue attese e all’uso senza riduzioni del dono della ragione». In questo modo Giussani si collocava, senza per altro metterlo mai a tema, con una propria originalissima visione ed esperienza, sulla scia di coloro che durante il Novecento avevano cercato di far uscire la proposta cristiana dalle secche in cui l’avevano collocata l’individualismo borghese, il moralismo, l’intellettualismo di certa teologia moderna.
A don Giussani non poteva bastare un cristianesimo ridotto a un insieme di verità da credere o di regole da rispettare, non gli bastava né la dottrina né la morale.
La scuola di Venegono, dove Giussani studiò negli anni del seminario, lo portò a contatto con Scheeben e Möhler, con Guardini e le correnti più vive del rinnovamento teologico e liturgico del secolo. Occorreva dunque riscoprire la strada su cui la vita cristiana potesse mostrarsi come qualcosa di profondamente bello, capace di riempire la sete estetica dell’uomo contemporaneo, ma assieme di potentemente vero, in grado di rispondere alle attese più profonde della ragione. Giussani ha accettato tutte le sfide della modernità senza nessun complesso di inferiorità, senza mai il minimo dubbio che il cristianesimo fosse in grado di mostrare la propria attualità anche di fronte alle nuove filosofie o ai nuovi orizzonti dischiusi dalle scienze contemporanee.
Il fondatore di Comunione e Liberazione fu giudicato da alcuni suoi contemporanei, all’interno della Chiesa, come un rivoluzionario, un sovvertitore. All’opposto, egli aveva un senso molto profondo della tradizione, ma non era un tradizionalista. Sentiva cioè l’urgenza che la tradizione cristiana venisse riscoperta nella sua capacità di illuminare il presente. La sua riforma consisteva in una concentrazione sull’essenziale. Lasciare da parte le forme caduche e trasmettere il cuore vitale del cristianesimo. Esso consiste innanzitutto nella conoscenza di Dio come Padre. Per questo Dio s’è fatto uomo, per rivelarci attraverso la vita del Figlio la sua paternità, la sua misericordia, la sua volontà di riscattare ogni nostra miseria e di risollevarci.
Giussani fu un grande conoscitore dell’uomo. Mise al centro della sua attenzione la scoperta dei dinamismi più profondi della vita personale. L’uomo in ogni sua azione persegue un bene da cui si sente attratto. E nello stesso tempo, deve registrare un’insaziabilità. È il cuore inquieto di cui parlava Agostino. «Ogni cosa porta scritto: più in là», scrive Montale in una sua poesia molto citata da Giussani. Il vertice della ragione è riconoscere questo desiderio sempre nuovo. A tale apertura della mente e del cuore si rivolge l’annuncio sconvolgente che Dio è un uomo presente.
Don Giussani, dopo una lunga malattia – il Parkinson – i cui primi segni si erano manifestati nel 1992, si spegne a Milano il 22 febbraio 2005.
Ricordando la figura di don Giussani nel decennale dalla morte, Papa Francesco ha detto di lui: «Sono riconoscente a don Giussani per varie ragioni. La prima, più personale, è il bene che quest’uomo ha fatto a me e alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. L’altra ragione è che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo».
Vescovo Emerito della Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla