«Europa: identità o strategia?»: questo il titolo del primo Meeting del Reno. Abbiamo chiesto a don Gianluca Carlin, tra i promotori dell’iniziativa, che cosa li ha mossi e che cosa hanno scoperto.

Don Gianluca, perché l’Europa per il primo Rhein-Meeting?

Siamo partiti dalla situazione sociale ed economica. In Germania la crisi, almeno quella finanziaria, non è molto avvertita. L’economia e la società funzionano, non ci sono problemi di debito pubblico. Per questo, è diffuso un atteggiamento di domanda nei confronti dell’Unione Europea, si avvertono come ingiuste certe necessità inerenti soprattutto gli altri Paesi. La crisi che viviamo in Germania non è economica, ma è ideologica.

Siamo tornati perciò all’origine dell’Europa, che è nata perché, dopo la guerra, la Francia diede alla Germania la possibilità di riscattarsi, non seguendo una logica di vendetta, di contrapposizione, ma cercando la riscoperta di un fondamento comune, più profondo delle ragioni della guerra. Siamo riandati al desiderio di uomini come Konrad Adenauer di un’unità europea anche politica, che non si è realizzata, ma che diede origine ai primi accordi commerciali. Abbiamo riscoperto che sono state delle persone, come Robert Schuman, che, partendo dalla propria definita identità cristiana, hanno saputo superare la secolare inimicizia tra Germania e Francia. Abbracciando l’idea di perdono, hanno assunto il rischio di aprire un nuovo capitolo, non di una nuova contrapposizione, ma della riconciliazione.

Vi ha guidati dunque una riflessione storica?

La riflessione su quelle figure, che molti oggi non capirebbero più nelle loro motivazioni, ci ha condotti a pensare che un’identità europea è così lontana che una persona non riesce a vivere quelle logiche. Il centro della questione è la persona: la crisi c’è, non è soltanto economica, ma è una crisi di identità, non solo come tedeschi o come europei, ma come uomini.

Si è profilata subito una sfida importante…

Il problema dell’identità pone la questione dei rapporti: rapporti fra persone, fra popoli, fra Stati. La verità della mia persona è connessa alla mia libertà, che si gioca nel rapporto con l’altro. Questo si è chiarito per noi nel lavoro preparatorio, durante il quale all’interno della nostra piccola comunità di CL a Colonia abbiamo potuto riscoprire la grandezza della nostra amicizia.

La nostra preoccupazione non era quella di organizzare un evento, ma di andare a fondo di un giudizio culturale sulla nostra situazione attuale. In questa verifica, abbiamo invitato alcune persone a lavorare con noi negli incontri di preparazione del Meeting: un professore di diritto ci ha spiegato come effettivamente funziona l’Europa, nei rapporti tra organismi nazionali e sovranazionali; un giurista milanese ci ha illustrato il rapporto tra giurisprudenza e libertà religiosa; un docente di teologia di Friburgo ci ha dato una bellissima sintesi della visione dell’Europa di Ratzinger, di cui è stato allievo. Ed è stato poi anche invitato a parlare al Meeting.

Che cosa è emerso dagli interventi dei relatori?

È stato un incontro di diversi punti di vista, convergenti verso un unico centro: la ricerca di un’identità.

John Waters ci ha mostrato il coraggio di leggere la propria storia in un disegno più grande, e che una realtà forte come quella cristiana gli ha potuto donare un’identità. Abbiamo visto in Lucio Rossi, il ricercatore del bosone di Higgs, una personalità innamorata della ricerca, del vero. Anche lui non semplicemente un tecnico, un fisico geniale, ma soprattutto una persona alla ricerca di ciò che gli può dare una consistenza. Javier Prades ha incentrato l’attenzione sull’identità dell’uomo e dell’Europa, ed è partito dall’idea del volto nell’arte e nella letteratura. Ha sviluppato un’analogia fra l’unicità del volto dell’uomo e l’unicità del volto di Cristo, delineando la crisi dell’identità come momento di crisi della capacità nell’arte di descrivere il volto. Bernhard Scholz ha chiuso con un giudizio culturale sulla situazione concreta in Europa. Ha ripreso l’idea di libertà e di responsabilità, della necessità di un soggetto libero e nello stesso tempo responsabile, quindi capace di costruire, non soltanto di criticare.

Come sono andati i giorni del Meeting?

Abbiamo incontrato un’urgenza profonda della gente: la necessità di riscoprirci uomini ed europei. Tante persone diverse hanno espresso soddisfazione perché finalmente non si è parlato di Europa in maniera tecnica o dal punto di vista economico, ma con un approccio personale.

È stato un momento missionario molto intenso sia per noi preti sia per tutta la comunità. Siamo entrati in contatto con tante persone. Una partecipazione alta, per i nostri numeri. È stato molto bello il coinvolgimento di tanti giovani nella realizzazione. Colgo l’occasione per ringraziare loro e tutti coloro che hanno partecipato all’iniziativa e l’hanno patrocinata, tra cui il cardinale Meisner e il vescovo ausiliare Schwaderlapp oltre al Parlamento Europeo.

Quale orizzonte si è aperto?

Oggi il rischio è di delegare la propria libertà: lo Stato funziona, gli esperti sono sempre più esperti e le esigenze sempre più tecniche. La persona delega agli organismi “superiori” la propria libertà, così il problema si risolve. E sta succedendo nel mondo del lavoro, dell’università, della scuola. L’orizzonte che si apre è perciò attraversato da un’unica strada: l’educazione. Con l’educazione possiamo recuperare il valore e l’identità della persona. Ecco perché il prossimo Rhein-Meeting si intitolerà: Il rischio educativo.

Nella foto, un momento del Meeting del Reno 2014 (foto Rhein-Meeting / Kirsten Gerwens).

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