L’educazione al sacerdozio dei giovani in seminario si fonda sulla vita vissuta insieme. La testimonianza del rettore della Casa di formazione.

Ogni anno, quando a settembre accogliamo i ragazzi che iniziano il cammino nella Fraternità, mi accorgo che la loro attesa è totalizzante. Non chiedono solo di ricevere degli insegnamenti per diventare sacerdoti. In loro c’è il desiderio di entrare in una nuova vita, di scoprire una casa che abbracci tutta la loro persona. Noi siamo chiamati ad accoglierli nella nostra casa, che è la vita della Fraternità.
Non mi è possibile pensare al compito di educatore in seminario senza pensare all’amicizia con gli altri preti con cui vivo. È la vita con loro il luogo in cui introdurre i ragazzi che Dio ci affida. Siamo chiamati a educare insieme.
Questo compito comune è qualcosa di molto concreto. Si tratta di momenti puntuali da cui nasce la proposta educativa per tutto il seminario. Momenti semplici, a volte leggeri e a volte più impegnativi. Penso alle riunioni con don Paolo, in cui riflettiamo sulla proposta da fare ai ragazzi. Ai lunghi dialoghi con don Nicolò e don Giovanni per giudicare insieme i dettagli della vita del seminario, o alle riflessioni con don Michael sugli studi dei seminaristi. Penso al caffè del mattino, dopo aver pregato insieme, quando vediamo cosa ci aspetta nella giornata, quali cose sono assolutamente da fare e quali, con molta pace, sappiamo già che non riusciremo ad affrontare.
Educare insieme, però, non significa solo avere momenti di decisione o di giudizio comune. Questi sono l’espressione di un’unità più profonda. Si può educare insieme solo se ci si concepisce al servizio di un’opera comune, più grande di sé. Per questo, il primo modo per educare i seminaristi è sostenerci nell’adesione sincera e totale alla vita della Fraternità, cui noi per primi siamo chiamati.
Accompagnare nel cammino della vocazione è un compito vertiginoso. La presenza di Paolo, di Nicolò, di Giovanni, di Michael mi ricorda che non sono io il contenuto dell’educazione dei seminaristi, che non porto me stesso. È una presenza imprescindibile, altrimenti i successi sarebbero solo motivo di orgoglio e gli sbagli dei macigni troppo grandi. Offriamo ai seminaristi ciò che ci è dato da vivere, che per grazia di Dio è più grande di noi stessi.
Don Giussani diceva che un prete deve essere innanzitutto un uomo. Un uomo realizzato, che ha scoperto in Cristo il compimento esaltante di tutta la propria umanità. La Fraternità è per noi il luogo dove riviviamo ogni giorno questa scoperta sulla nostra vita. Educare dei ragazzi al sacerdozio è allora condividere questa vita, accompagnarli, secondo i tempi di ciascuno, perché possano vivere anche loro la stessa sorpresa.

Nella foto, alcuni seminaristi durante un ritiro presso Monchio (Mo), luogo del martirio del beato Rolando Rivi.

francesco ferrari

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