Davide Perillo, direttore di Tracce, ci racconta la storia di Emilia, incontrata dai nostri sacerdoti nella lontana isola di Taiwan.

Erano foto di un’estate a Rimini. Ne trovi a migliaia, navigando su Facebook. E parecchie sono scattate lì, tra i padiglioni della fiera. Al Meeting. Ma per Emilia Huang, ventunenne di Taipei già laureata in fashion marketing alle prese con gli studi di italiano, quelle foto incrociate in rete per caso avevano dentro qualcosa. «Erano miei compagni di studi. Dovevi vedere le facce: bellissime. Mi sono chiesta: perché? Perché sono andati lì e sono così felici? Mi è nata dentro una curiosità forte. Ho cercato su Internet qualcosa su questo incontro, su chi lo faceva… E sono andata a cercarli».
Era l’estate del 2011. Pochi giorni dopo, Emilia era a un incontro con quei compagni di classe e il loro professore: don Emmanuele Silanos, uno dei sacerdoti della San Carlo di stanza a Taiwan. Insegnava italiano all’Università Cattolica di Taipei, come don Paolo Costa (un altro don Paolo, Cumin, era appena tornato a Roma).
È così che Emilia ha incontrato il cristianesimo. O meglio, ha capito che cosa l’aveva colpita quando aveva visto un amico fare una cosa strana. «Si chiama Pietro, è cristiano. Aveva un altro modo di pensare e di parlare. Una volta l’ho visto inginocchiarsi davanti alla croce, era qualcosa di molto profondo. Pregava. Io non avevo mai visto nessuno pregare così. Per me era stato qualcosa di speciale».
Una novità assoluta, in un mondo che è veramente un altro mondo. Altra lingua, altra cultura. Altri dei. Ventiquattro milioni di abitanti e più di metà non ha mai sentito parlare di Gesù, figurarsi di Cl o della scuola di comunità. «Ma io mi trovavo bene, a quell’incontro. Avevo altri amici cari, ma con loro non parlavamo delle cose più profonde. Invece lì si discuteva della libertà, dell’amicizia, della solitudine… Cose speciali, in­som­ma. All’inizio ero timida, ascoltavo e basta. Poi ho cominciato a parlare anche io». E non se n’è più andata.
Oggi la sua vita è fatta di gesti semplici, che visti qui colpiscono ancora di più nella loro essenzialità. La caritativa, per esempio. In una piccola casa di riposo per anziani. «Per me è un’occasione per conoscere di più gli amici e me stessa: ogni sabato leggiamo insieme Il senso della caritativa, di don Giussani, stiamo con loro, cantiamo per loro… E pian piano anche l’amicizia si rafforza». Come si è rafforzata quella con i sacerdoti. «Don Lele è molto importante nella mia vita. Ha un cuore profondo. Quando l’ho incontrato non parlava molto bene il cinese, le sue prediche erano molto semplici. Ma ogni sua parola mi colpiva».
In quel rapporto ha visto nascere una domanda. Che si è fatta più acuta quando il turnover ha portato qui altri sacerdoti: don Donato. Don Emanuele. «Mi chiedevo: ma chi sono questi, perché sono qui? Spendono tutto questo tempo con noi: perché? E mi dicevo: qui c’è dentro qualcosa. Ed è nato il desiderio di conoscere di più questa cosa».
Fino a diventare una strada, precisa. «Mi ricordo bene quel giorno. La mattina sono andata a lezione da don Paolo e gli ho chiesto: io vorrei conoscere il cristianesimo. Avevo questa domanda dentro da un po’. Io sapevo che qualcuno mi aspettava, ma non sapevo chi fosse. Poi, attraverso gli incontri, la nostra amicizia, avevo iniziato a pensare: magari è questa la mia risposta. E ho chiesto a lui». E don Paolo? «Era contentissimo. Mi ha dato una piccola croce e sono andata a messa per la prima volta. Davanti a quella croce, non so perché, ho cominciato a piangere. Non riuscivo a smettere. Per me è stata una risposta molto chiara. Ho cominciato a fare catechismo. E mi sono ritrovata abbracciata, fino al Battesimo».
Cosa è cambiato ora? «È diverso l’atteggiamento verso le cose. Il lavoro, per esempio. Qualche volta è un po’ faticoso. Ma ne ho parlato con Donato, ho scoperto la possibilità di offrire questa fatica a Gesù. Ed è cambiato il mio modo di stare lì». È diverso anche il rapporto con gli amici: «Penso sempre a come posso dire a tutti quello che ho incontrato: comunicare la bellezza, la gioia. La mia vita. Vorrei dirla al mondo intero». Ma chi è Gesù, per te? «Un papà e insieme un amico del cuore. Ti ascolta, ti aiuta. Fa tutto per te». E gli amici della San Carlo? «Un amico una volta mi ha detto: con loro, stiamo sulla stessa barca. I preti sono al timone, don Giussani è il capitano. E il Signore è il vento che ci porta verso la destinazione». Sorride e spalanca gli occhi, mentre fissa i tuoi. «Senza don Giussani, loro non sarebbero venuti qui. Io non sarei battezzata. Don Gius adesso è la guida della mia vita. Ma prima di questa guida, c’è Cristo».
Emilia passa molto tempo nelle due parrocchie della San Carlo, quella di san Francesco Saverio, affacciata sulla via del mercato, e quella di san Paolo a Xinzhuang. Ci porta gli amici, aiuta, dà una mano sempre e dovunque. «Mi piace un sacco aiutare i preti. All’Angelus diciamo: “Sono la serva del Signore”. Be’, se loro sono i Suoi servi, io posso fare la serva dei servi. Wow, bellissimo!». Altro sorriso, pieno.
Come quello che fa quando parla dell’altro lavoro, che ormai le prende molto tempo: tradurre dall’italiano. I testi del movimento passano da lei. «Ogni volta ci sono delle cose che mi colpiscono. Quando traduci, devi stare più attenta. Mi sta aiutando a conoscere di più don Giussani, per conoscere di più Cristo». E se stessa, passo dopo passo. «Cosa desidero di più, ora? Trovare la mia vocazione. La compagnia dei preti è un dono prezioso. Mi aiuta ad attendere ciò che Lui sta preparando per me. Non so cosa mi darà, ma so che sarà una cosa buonissima».

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