Cari fratelli e sorelle,
oggi è un giorno di festa. Lo è per la Fraternità San Carlo, lo è per le famiglie dei neo ordinati, e anche per le famiglie di coloro che sono stati ordinati negli anni scorsi o che verranno ordinati negli anni futuri. È un giorno di festa per i loro amici, perché la festa sta a significare la perennità della vita. E l’ordinazione presbiterale e diaconale sta a significare anche la perennità della Chiesa. Questa perennità è sempre e solamente un dono di Dio. Così come è solamente dono di Dio ciò che si riceve nell’ordinazione presbiterale e diaconale.
Questa ordinazione è soprattutto e innanzitutto segno della perennità della Chiesa che vive, come sappiamo da uno dei Padri, nelle consolazioni di Dio e nelle turbolenze del mondo. Se noi conosciamo nella fede la perennità della Chiesa, sappiamo che questa generazione di sacerdoti non è l’ultima di un mondo che finisce, ma è la prima di un mondo che comincia.
Viviamo certamente un tempo di grandi sommovimenti in tutta la società mondiale, nella sua cultura o pseudocultura, nella coscienza dei popoli e delle persone. E questo sommovimento tocca profondamente anche la Chiesa, nel bene e nel male.
Parlo di una prima generazione nuova perché si tratta certamente di una forma nuova che la Chiesa deve assumere per essere testimone di Cristo in questo tempo. Questa forma nuova non nasce però dalle nostre alchimie, non nasce dai nostri pensieri, dai nostri progetti. È anch’essa solamente dono di Dio. È però un dono che chiede la nostra collaborazione. E così come in una piccola pianta nessuno di noi può immaginare il grande albero che verrà, allo stesso modo non possiamo immaginare l’albero della Chiesa nei suoi rami nuovi, di cui questi nostri fratelli sono come l’anticipazione e la profezia. A loro spetta dunque essere, senza in fondo volerlo, i protagonisti di questa forma nuova.
Vorrei allora delineare brevemente questa nuova forma con le parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo di questa mattina. Precisamente in una sola espressione del Vangelo, che ritorna più volte: «Ciò che io vi dico nel segreto voi ditelo sui tetti» (cfr. Mt 10,27), dice Gesù o anche «dalle terrazze», o «nelle strade». Quindi, ditelo apertamente, ditelo inserendovi nella vita quotidiana degli uomini.
Innanzitutto dobbiamo rispondere alla domanda che cosa vuol dire «ciò che vi dico nel segreto»? Che cos’è questo «segreto»? È un luogo fisico? È un luogo dell’anima? Questo segreto è una modalità con cui Dio parla, così come il Vangelo ci suggeriva? E un po’ tutte queste cose assieme. Certamente il segreto è una solitudine con Dio, innanzitutto. E quindi è anche un luogo fisico. Per questo motivo, a un certo punto della breve storia della Fraternità San Carlo si è giustamente deciso che, laddove sia possibile, ci sia una cappella all’interno dell’abitazione. Non necessariamente essa è il luogo del segreto; può essere anche un angolo della propria camera o la stessa camera, nella misura in cui non è violata dai rumori e dalle intemperanze. Occorre comunque che nella nostra casa ci sia il luogo del segreto, il luogo del silenzio, il luogo dell’ascolto di Dio. Il luogo della nostra pace, della nostra quiete, della nostra risposta.
L’educazione alla preghiera e al silenzio costituiscono uno dei cardini fondamentali dell’educazione seminaristica e della vita della fraternità san Carlo. Ed è bene che sia così. È una profezia per tutti. E un’indicazione di strada essenziale, del fondamento su cui tutto si regge e fiorisce.
Questa ordinazione è soprattutto e innanzitutto segno della perennità della Chiesa che vive nelle consolazioni di Dio e nelle turbolenze del mondo
Ma c’è un altro segreto in cui Dio parla
, tipico dell’educazione che la Fraternità dà ai suoi membri: la vita comune. La vita comune fa parte del segreto che Dio ha affidato alla Fraternità per tutta la Chiesa. La vita comune ci parla del segreto di Dio perché ci parla della vita trinitaria, di cui la vita comune è manifestazione nel tempo. Ci parla del segreto di Dio, perché essa penetra fin nelle profondità del nostro io. Essa è uno strumento privilegiato di conversione e infine di gioia. La Fraternità San Carlo ha scelto la strada della vita comune come strada caratteristica della propria realtà nella Chiesa e nel mondo. E attraverso la vita delle sue case – certo non case perfette perché nessuno di noi è perfetto, ma case vere – grida alla Chiesa e al mondo la profezia della vita comune.
«Ciò che ascoltate nel segreto, ditelo sui tetti». Che cosa significa ditelo sui tetti? Innanzitutto, prima ancora che ogni parlare, è anch’esso un ascolto. Lo richiamava ieri il cardinale Schönborn nella sua omelia durante la messa delle ordinazioni sacerdotali: dobbiamo farci, cari fratelli che siete stati ordinati ieri, innanzitutto ascoltatori del grido degli uomini. La Chiesa si pone sempre in ascolto del grido dell’uomo. Il grido degli uomini, infatti, rivela la profondità del bisogno di Dio, che abita ogni generazione.
«Gesù, figlio di Davide, Abbi pietà di me» (cfr. Lc 18,39). «Cosa vuoi che ti faccia? Guarisci la mia vista» (cfr. Lc 18,41). «Dammi da bere» (Gv 4,7), «fammi alzare dalla mia paralisi» (cfr. Lc 5,17-26), «liberami dai diavoli che mi tormentano» (cfr. Mc 5,1ss). Il grido degli uomini è sempre diverso e sempre identico a se stesso. Per farci ascoltatori del grido degli uomini dobbiamo farci compagni di vita degli uomini. Non possiamo aspettare che vengano da noi. Dobbiamo andare noi da loro. Gesù aveva compassione delle folle, perché le trovava sbandate, senza punti di riferimento, senza padre. È la descrizione di ogni generazione degli uomini e della nostra, in modo particolare.
Farci compagni degli uomini, farci ascoltatori del loro grido, ma per poter entrare per loro grido! Ditelo sui tetti! Sembra quasi oggi che la missione sia rinunciare a pronunciare il nome di Cristo! Ma non c’è altro nome nel quale sia dato agli uomini di essere salvati. Certo, la pedagogia autentica della missione deve sapere quando parlare e quando tacere, quando gridare e quando sussurrare; quando essere vicini e quando stare lontani. Una pedagogia della missione cristiana, che sia vera, non può però mai pensare di rinunciare a comunicare il dono che la Chiesa ha ricevuto.
Se noi conosciamo nella fede la perennità della Chiesa, sappiamo che questa generazione di sacerdoti non è l’ultima di un mondo che finisce, ma è la prima di un mondo che comincia.
Ricordiamo quella frase di Joseph Ratzinger: “Chi non dà Dio, dà sempre meno di ciò che l’uomo si attende”.
Ecco allora che orizzonti sconfinati si aprono davanti a noi: se infatti la parola “segreto” ci mette in contatto con l’infinità di Dio, le parole “tetti, strade, terrazze”, ci mettono in contatto con l’infinità degli uomini. E in questa sintesi drammatica sta il cuore del sacerdote. Un cuore felice, perché sa che d’ora in poi saranno gli orizzonti infiniti della vita di Dio e degli uomini a occupare le sue giornate, talvolta anche le sue notti. Un cuore – quello del sacerdote – dilaniato anche dai bisogni, dalle attese, dai drammi, dalle fatiche che incontrerà camminando tra gli uomini e che è chiamato per portare su di sé. Un cuore confidente, come ci ricorda Santa Teresina: vivo nella fiducia in Dio; so che egli mi accompagna e mi guida è con me al mio fianco, mi sostiene, mi perdona, mi incita lungo la strada.
Ecco l’augurio che faccio a voi, cari fratelli, presbiteri e diaconi, raccomandandovi di trovare sempre nella vita della Chiesa, in particolare della Fraternità san Carlo, alla quale appartenete, l’alimento per il vostro segreto e il sostegno per il vostro grido.