Alla richiesta di un articolo per Fraternità e Missione, la prima reazione, come sempre, è di panico: ma io, che cosa ho da dire? Ci sarebbero tante cose interessanti e belle o drammatiche, ma sono sempre storie personali e io ho un grande rispetto per la privacy delle persone. Che fare? La soluzione abituale per me è scaricare il problema sul mio angelo custode, lasciando che ci pensi lui. Passano cinque minuti e ricevo una mail da un ragazzo, chiamiamolo Pippo. È un ex-studente della scuola di Boston dove insegno da quindici anni, una scuola privata, non cattolica, dove posso andare in giro col collarino ed essere chiamato da tutti father (l’equivalente americano del “don” italiano).
È raro che uno studente, una volta finita la scuola, voglia continuare un rapporto. Pippo era scomparso dai miei schermi radar da un paio d’anni. Dopo gli aggiornamenti sul suo percorso scolastico, mi dice: “Però ti scrivo per chiederti una lettera di raccomandazione per la diocesi di Boston, perché voglio entrare in seminario”. Nella scuola non faccio il cappellano, insegno Matematica e Informatica e non mi occupo di Gioventù studentesca. Cerco semplicemente il bene di quanti incontro. Ogni tanto mi capitano studenti che vogliono parlare della loro fede, approfondirla, capirla, e allora cerco di metterli insieme e di godermi la loro compagnia.
Essere missionario è avere il desiderio di appartenere sempre di più a Gesù
Come quell’altro studente, chiamiamolo Pluto, che è passato dalla scuola un paio di settimane fa per dirmi che si era lasciato con la morosa che avevo conosciuto un paio di anni prima. “Ma stai tranquillo” ha aggiunto “nessuno dei due ha perso la fede”. Che Dio li benedica! Pluto era arrivato alla nostra scuola al penultimo anno, praticamente cacciato per motivi disciplinari dalla scuola dov’era prima. Alla Newman, saputo che c’era un prete, mi si è attaccato e ha organizzato un gruppetto di studenti e insegnanti per poter parlare della fede. Ha anche chiesto che diventassi il suo advisor. Uno studente e un insegnante di quel gruppetto alla fine dell’anno hanno chiesto di entrare nella Chiesa cattolica (loro erano protestanti). Anche qui, Pluto non ha convertito queste persone come non le ho convertite io, ma senza di lui e senza di me, forse, il loro percorso sarebbe stato più difficile.
Pippo, lo studente che mi ha scritto, è stato un altro che desiderava approfondire la fede. Ogni tanto, andavamo a pregare su sua richiesta in una cappella situata in un centro commerciale qui vicino, dove c’è quasi tutto il giorno il Santissimo esposto. Non ho mai fatto propaganda pro sacerdozio, ma era evidente in Pippo una curiosità che alle volte si esprimeva in domande. Quindi, la sua decisione di entrare in seminario non mi ha sorpreso. Quello che mi lascia sempre a bocca aperta, invece, è la realizzazione che se non chiudo la porta a chiave in faccia a Gesù, Lui “se ne approfitta” e comincia un rapporto personale con quanti incontro io. E spesso non me ne accorgo neanche, poveraccio che sono!
Per come lo capisco, essere missionario non è andare a vivere in un altro paese, dovendo parlare una lingua diversa, immerso in una cultura differente e, magari, rischiando la vita. Essere missionario è cercare di fare bene il proprio lavoro, qualunque sia, lì dove si è, con il desiderio di appartenere sempre di più a Gesù e di fare la sua volontà, qualunque essa sia. Tutto il resto è accessorio.