I capelli del vostro capo sono tutti contati

Il compito del sacerdote oggi, come quello di ogni cristiano, è scomodo ed espone a pericoli, se non vogliamo scendere a compromessi con una mondanità che rifiuta Cristo o tenta di ridurre la sua pretesa.

Paolo Sottopietra durante l’omelia per le prime messe dei neo-ordinati presbiteri Marco Vignolo e Mattia Zuliani Chiesa di Sant’Eusebio – Roma, 25 giugno 2017

Carissimi Marco e Mattia,

oggi la Chiesa propone alla nostra riflessione una pagina del famoso capitolo decimo del vangelo di Matteo, noto come il discorso missionario di Gesù. È una pagina preziosissima per noi, che contiene le istruzioni che gli apostoli ricevono da lui nel momento in cui vengono mandati a predicare, a guarire, a scacciare i demoni in suo nome.
La parte centrale di questo discorso è dedicata alle persecuzioni ed è un grande invito di Gesù a dargli testimonianza con coraggio e ad affrontare le possibili minacce e l’ostilità gli uomini. Da una parte Gesù è molto diretto nel preannunciare le opposizioni: Io vi mando come pecore in mezzo a lupi (Mt 10, 16). Guardatevi dagli uomini (Mt 10, 17). Sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia (Mt 10, 18). Sarete odiati da tutti a causa del mio nome (Mt 10, 22). Dall’altra, Gesù è deciso nell’invitare i suoi discepoli alla prudenza: Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (Mt 10, 16). Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un’altra (Mt 10, 23).
Il principio che governa tutte queste raccomandazioni è la disponibilità dei discepoli a condividere il destino del loro Maestro. Gesù li associa dunque consapevolmente alla sua vicenda terrena, essa per prima segnata da ostilità e rifiuto: Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia! (Mt 10, 25).

Siamo sua famiglia.
Questa nota, che sembra accennata di passaggio e quasi priva di importanza, è in realtà la chiave di tutto il discorso di Gesù.
Noi apparteniamo a lui, siamo la sua famiglia. E questo non è anzitutto un desiderio o un sentimento nostro, ma un suo riconoscimento. È lui che ci individua davanti al Padre (Mt 10, 32) come suoi, come i suoi. E su questo “voi siete miei” Gesù basa il grande e pacificante invito che domina la seconda parte del suo discorso missionario, l’invito a non avere paura, che ripete ben tre volte (Mt 10, 26.28.31).
Non abbiate paura degli uomini (Mt 10, 26), dice anzitutto Gesù, poiché non possono tenere a lungo segrete le loro macchinazioni: nulla vi è di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto (Mt 10, 26). Avrete dallo Spirito Santo l’intelligenza per riconoscere le intenzioni degli uomini, quando questo vi sarà necessario. Voi però non concentratevi sugli inganni e i raggiri, preoccupatevi piuttosto di essere diretti e franchi davanti al mondo, rispondendo a me: Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce (Mt 10, 27), quello che imparate nell’intimità del vostro rapporto con me è destinato a tutti, deve essere portato a tutti. Quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze (Mt 10, 27).
In secondo luogo, dice Gesù, non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo (Mt, 10, 28), perché neppure se offenderanno il vostro corpo potranno arrivare a spezzare il legame che vi unisce a me: non hanno potere di uccidere l’anima (Mt, 10, 28). Ed è questa l’unica cosa che vi deve veramente far paura, la possibilità di rinnegarmi, di lasciarvi sedurre da chi vi vuole condurre a dire che non siete miei. Perché questa è la vita dell’anima, la vostra vita vera: essere, sapersi e dirsi miei. E dunque abbiate piuttosto paura di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo (Mt, 10, 28).

Il compito del sacerdote oggi, come quello di ogni cristiano, è scomodo ed espone a pericoli, se non vogliamo scendere a compromessi con una mondanità che rifiuta Cristo o tenta di ridurre la sua pretesa.

Infine, questa appartenenza a Cristo che ci dà sicurezza, che vince in noi la paura, che non le permette di dominarci e di disorientare le nostre azioni, trova la sua espressione più tenera nello sguardo che Gesù porta ai capelli del nostro capo. Nel vangelo di Matteo, Gesù parla due volte dei nostri capelli. In entrambi i casi nomina la parte per riferirsi il tutto, la parte più insignificante del nostro corpo per indicare tutta la nostra vita fisica e personale. A che cosa associamo infatti la paura che proviamo di fronte alla prospettiva della persecuzione? Di solito anzitutto alle sofferenze e alla perdita della vita fisica, ma anche a quella perdita della propria vita che è l’abbandono degli amici, la diffamazione, il disprezzo. Ed ecco che Gesù parla dei nostri capelli.
Lo fa una prima volta nel discorso della montagna, riportato all’inizio del vangelo di Matteo. Qui Gesù invita i suoi discepoli a non giurare. Non giurare neppure per la tua testa, raccomanda, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello (Mt 5, 36). Come a dire: non dare la tua vita in pegno per la verità delle tue parole, dato che questa vita ti sfugge, non è sotto il tuo controllo. Sarebbe un pegno senza valore. Una seconda volta Gesù parla dei nostri capelli proprio nel suo grande discorso missionario, che contiene questa bellissima assicurazione: Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati (Mt 10, 30). Come a dire: tutto di te è prezioso ai miei occhi, ha un valore inestimabile.
Le due affermazioni di Gesù sembrano in contrasto tra loro. La tua vita è ben povera cosa, sembra dire da una parte, dall’altra dichiara invece: la tua vita è preziosa per me anche in ciò che sembra insignificante. Ma è proprio in questo apparente contrasto che Gesù vuol farci entrare. Non dovete avere paura, dice, perché siete miei e questa è la vostra forza. Abbiate paura, dice però allo stesso tempo, perché se vi staccate da me siete perduti. La tua vita è poca cosa, se tu pensi di esserne il padrone. La tua vita è preziosa e protetta, se rimani dentro il grande ambito della fedeltà a me. Siete la mia famiglia, vi custodirò io, come la pupilla dei miei occhi (cfr. Dt 32, 10; Zc 2, 10).
Che cos’è un capello? Nulla, eppure non avete potere neppure su una cosa così piccola. Siete dunque nulla anche voi, in un senso molto reale. Che cos’è un capello? Nulla, eppure il Padre non si dimentica neppure di una cosa così piccola, li conta tutti. Come a dire: voi siete forti non perché nessuno vi possa minacciare. Vi potranno addirittura mettere a morte a causa mia. Voi siete forti perché siete miei. Ed è per questo che non dovete avere paura. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro (Mt 10, 29). Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri! (Mt 10, 31). Voi, agnelli che io mando in mezzo ai lupi, voi, mia famiglia, ai miei occhi siete molto preziosi. Sarò io a custodirvi, finché vi professerete miei di fronte al mondo.

Queste parole di Gesù sono consolanti.
Insieme ai suoi apostoli, Gesù manda anche voi. Il vostro compito potrà non essere facile. Siete mandati da Dio ad un mondo che di per sé non vi accoglie, che potrà mostrarsi estraneo e ostile, soprattutto se vi assumerete la piena responsabilità della fedeltà a Colui che vi manda. Il compito del sacerdote oggi, come quello di ogni cristiano, è scomodo ed espone a pericoli, se non vogliamo scendere a compromessi con una mondanità che rifiuta Cristo o tenta di ridurre la sua pretesa.
Dolce compito, possiamo però dire, perché sappiamo di essere custoditi da un Padre che ci ama, veglia su di noi e sa di quali cose abbiamo bisogno prima ancora che gliele chiediamo (cfr. Mt 6, 8). Dolce compito, perché ci associa alla vita di Cristo stesso, nostro fratello, nostro amico e nostro Re.

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