Don Andrea Marinzi ci fa entrare all’interno del mistero dell’amicizia tra Gesù e gli Apostoli

Nel suo libro su Gesù, Storia di Cristo, Giovanni Papini inizia il capitolo sui dodici apostoli con una frase lapidaria: «La sorte, non sapendo in quale altra maniera far pagare ai grandi la loro grandezza, li castiga coi discepoli». E prova a spiegare perché. Dice che i discepoli non comprendono mai fino in fondo il pensiero del maestro, e lo travisano; sono invidiosi fra loro e di chi li guida; perseguono interessi personali piuttosto che spendersi per la causa comune.
In effetti, guardando i discepoli di Gesù, non si può certo affermare che fossero perfetti. Ambiziosi, sonnolenti, invidiosi, duri a comprendere, impazienti, avari, codardi. Però, dice ancora Papini, «ai Dodici va molto perdonato, perché ebbero, eccetto qualche momento, fede in lui; perché si sforzarono di amarlo; e soprattutto perché, dopo averlo abbandonato nell’orto di Getsemani, non lo dimenticarono mai». Questa fu la loro grandezza. Lasciarono che il loro male fosse abbracciato dall’amore. Furono pieni di entusiasmo per Gesù, si lasciarono trascinare. Posero la grandezza del maestro davanti alla propria piccolezza.
D’altronde Gesù sapeva bene chi sceglieva. Quando Pietro, subito dopo la pesca miracolosa, gli si buttò ai piedi dicendo: Allontanati da me che sono un peccatore, Gesù gli rispose: Non temere. Sapeva benissimo chi aveva davanti, conosceva Pietro e gli altri fin nei loro limiti più nascosti. Ma Gesù sapeva anche che quegli uomini erano semplici. Sapeva che avrebbero accettato di essere guidati, plasmati da Lui. Sapeva che nelle sue mani di sapiente artigiano, quel fango si sarebbe trasformato in vasi bellissimi, pieni di un tesoro prezioso. Avrebbero dovuto passare dentro la fornace, attraverso il fuoco dello Spirito che sarebbe sceso su di loro a Pentecoste. E sarebbero diventati vasi magnifici.
Gesù sapeva insomma che i Dodici avrebbero brillato per la sua stessa grandezza. Quando disse a Simone e Andrea: Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini, Egli indicava un compito anzitutto per sé. D’altronde loro cosa avrebbero potuto fare? Di certo non potevano cogliere nemmeno vagamente il significato di quella frase, che in loro suscitava soltanto immagini grottesche. Cosa poteva immaginarsi san Pietro pensando a un pescatore di uomini? Né aveva potuto cogliere il senso dell’altra frase, quella che Gesù gli aveva detto nel loro incontro precedente, quando gli aveva cambiato il nome: Tu sei Simone, ti chiamerai Pietra. Pietro non poteva capire, ma non era tenuto a farlo. Perché quella frase, quella vocazione, indicava appunto il compito di Gesù. A Pietro era chiesto soltanto di seguire: Venite dietro a me.
È bello vedere come Gesù, fin dall’inizio, abbia voluto legare la sua missione ad alcuni semplici uomini. D’altronde era venuto come uomo, nella carne, e avrebbe continuato così per i secoli. Al punto che nessuno, nemmeno oggi, potrebbe dire di appartenere a Cristo se non passando attraverso la mediazione dei suoi discepoli. Se non passando attraverso la testimonianza dei Suoi, accettando la loro compagnia, legandosi a una comunità di uomini.
Il Maestro continua a risplendere nella vita dei suoi discepoli, ed essi hanno il compito di rendergli testimonianza. Continuando a essere semplici, a seguire, a farsi crescere da Lui.

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