I giovani e la promessa del nuovo

Parlare dei giovani, della loro importanza e del loro ruolo nel mondo significa parlare di adulti che siano per loro autorità e guida.

Un momento della Festa del Centro giovanile di Roma, affidato ai preti della Fraternità san Carlo – foto Stefano Dal Pozzolo

Chiunque si senta responsabile per la crescita della comunità civile o ecclesiale, avverte quanto sia prezioso e decisivo il dialogo con i giovani.
«Spesso è attraverso i più giovani che il Signore rivela che cosa sia meglio», scrive san Benedetto nella Regola. Il grande abate educatore parla ai suoi monaci. Pensando ai momenti in cui dovranno prendere decisioni importanti, li invita a non escludere i più giovani dalle consultazioni. Al contrario, raccomanda decisamente che siano coinvolti: dalla loro freschezza viene infatti una provocazione salutare per tutti e il loro richiamo deve essere accolto quasi con venerazione. In esso infatti risuona spesso, in modo misterioso ma reale, la voce dello Spirito Santo.
Considerando la situazione della Chiesa italiana degli anni Cinquanta e Sessanta, una delle prime alunne di don Giussani al liceo Berchet di Milano attribuisce al suo antico professore lo stesso sguardo positivo verso i giovani: «Giussani» scrive Eugenia Scabini, «è un grande interprete della generazione giovane, che si affaccia alla storia. Entrando in fretta in sintonia con essa, crea un messaggio che diventa toccante per lei». Sono giustamente famose le foto di Elio Ciol che ritraggono il sacerdote milanese mentre guida assemblee di liceali attentissimi. Lo vediamo annotare su un quaderno le loro osservazioni più acute. Dall’ascolto serio delle loro domande e delle loro intuizioni rinasceva ogni volta la forza toccante della sua comunicazione.

Il 1 ottobre 1968 moriva a Monaco di Baviera Romano Guardini. Aveva dedicato ai giovani le sue migliori energie, in un periodo drammatico della storia tedesca come quello tra le due guerre mondiali. Alla fine degli anni Cinquanta, forse ripensando ai tanti dialoghi avuti con gli universitari che usavano radunarsi nella Rocca di Rothenfels, aveva scritto: «Con ogni uomo l’esistenza ricomincia sempre come una realtà nuova». Il suo animo profondo era in grado di abbracciare orizzonti storici e geografici molto vasti, e nello stesso tempo avvertiva il dramma della libera decisione di ogni singolo ragazzo: «Ogni persona ha tutte le possibilità positive e negative che sono proprie di un inizio. Da ciò deriva l’incertezza della storia».
Non sempre infatti l’apertura naturale che orienta il giovane verso una grande promessa di bene trova il sostegno di cui necessita perché inizi un cammino nella giusta direzione. In un romanzo intitolato Cigni selvatici, la scrittrice cinese Jung Chang racconta l’esperienza tragica della dittatura maoista, da lei vissuta in prima persona. Insieme a moltissimi coetanei, Jung si arruolò ancora adolescente nelle Guardie Rosse, piena di entusiasmo e di fiducia negli ideali della Rivoluzione.

L’attesa di verità, di giustizia e di compimento che i giovani vivono è la loro forza più immediata ed è al contempo ciò che li rende più che mai vulnerabili.

Rievocando quel periodo molti anni più tardi, si sofferma su un episodio decisivo per la storia della Cina comunista: «una manifestazione di proporzioni gigantesche», in piazza Tienanmen a Pechino, «alla quale partecipò oltre un milione di giovani». Lin Biao, il teorico di partito allora più in auge, accese gli animi con un’arringa piena di passione e invitò la sterminata distesa di ragazzi che lo ascoltavano a lasciare le scuole per andare a distruggere quelli che definì «i quattro vecchi»: idee, cultura, tradizioni e abitudini che avevano segnato il passato. Si trattava di far spazio al nuovo. Quel giorno ebbe inizio la Rivoluzione Culturale, un processo che ferì profondamente la società cinese, opponendo i figli ai padri in quasi tutte le famiglie dell’epoca. «Seguendo quell’oscuro invito» commenta Jung Chang, «in tutta la Cina le Guardie Rosse scesero in strada, dando sfogo al vandalismo, all’ignoranza e al fanatismo. Saccheggiarono le case, fracassarono oggetti di antiquariato, strapparono dipinti e saggi di calligrafia. Furono accesi dei falò per bruciare i libri e nel giro di pochissimo tempo quasi tutti i tesori delle collezioni private furono distrutti».

Ciò che colpisce degli esempi riportati, più ancora dei gruppi o delle masse di giovani di cui parlano, sono le figure di adulti che si pongono davanti a loro. I giovani emergono e il loro contributo acquista peso in seno alla convivenza umana, in un senso o in un altro, soprattutto quando entrano in contatto con adulti che li orientano. Ciò vale, sia pure con modalità diverse, per l’ambito nascosto di una comunità monastica come per la scuola o l’università, fino al contesto aperto della vita sociale e politica di un popolo. Sono gli adulti che parlano di Cristo, o di lotta di classe, o del mondo nuovo, offrendo così ai giovani un’ipotesi che dia senso all’esistenza umana e alla loro vita personale. Ed è proprio questa scoperta che infiamma il loro cuore e ha la forza di lanciarli nelle imprese più alte e radicali, o più folli.
Guardini stesso aveva previsto, con drammatico senso di impotenza, il cedimento di migliaia di ragazzi alle lusinghe della propaganda razzista del partito di Hitler. Al termine della seconda guerra mondiale, guardando alla Germania devastata da quella disastrosa esperienza, scriveva: «I nostri giovani sono dei feriti, dei grandi feriti di questa grande battaglia. Per dodici anni sono stati affidati, indifesi, a maestri la cui sola ambizione era impedir loro di pensare. Ora bisogna tentare di restituire alla nostra gioventù l’inquietudine dello spirito. Ed è questa che la salverà dal nichilismo».
L’attesa di verità, di giustizia e di compimento che i giovani vivono è la loro forza più immediata ed è al contempo ciò che li rende più che mai vulnerabili. La retorica che di volta in volta li descrive come i protagonisti della storia, facendone tout court il soggetto portatore del nuovo, troppo spesso si rivela essere uno strumento per reclutarli a sostegno di un progetto di potere, concepito da adulti. I giovani sono certamente chiamati a diventare, in seno alla società e anche alla Chiesa, elemento di vera novità, ma hanno bisogno di vere autorità, di uomini che li guardino senza mirare ad un tornaconto. Hanno bisogno di adulti che sappiano introdurli al mistero della loro stessa libertà, offrendo un’esperienza della verità che sempre riapre alla voce nuova dello Spirito.

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