La mia scuola si trova dall’altra parte della città. Sono 35 Km nel traffico dei pendolari e per evitarlo e arrivare in tempo a scuola devo uscire presto, quando i miei fratelli di solito ancora dormono. Uscito in strada guardo le finestre, ancora buie: non provo invidia per loro che possono dormire un po’ di più, provo invece il desiderio di portarli insieme con me.
Arrivo a scuola e la mia giornata inizia sempre con la messa, ogni giorno per un diverso gruppo di alunni. Il momento in cui alzo l’ostia è il più importante della giornata: ho davanti agli occhi l’ostia e, dietro l’ostia, i miei ragazzi. Ed è questa presenza, che è lì ogni mattina e mi aspetta, ciò che mi fa uscire di casa e andare a scuola pieno di gratitudine, che mi fa guardare dietro questa ostia i volti dei miei ragazzi, annoiati, o attenti, o distratti, così come sono.
La sera torno a casa e trovo altri volti, quelli dei miei fratelli: Georg che mi saluta sempre con un bentornato o un “ciao Gianluca” che viene dal cuore; Lorenzo che arriva con i suoi problemi o i suoi successi e non si trattiene dal raccontarli; Romano che in cinque minuti ascolta la mia giornata e mi racconta la sua… La speranza è la presenza di Cristo, per il quale so chi sono quei volti. Ed è bello poterli avere davanti agli occhi. Coincide con l’esperienza di andare in classe, raccontare di Gesù, insegnare, guardare l’ostia, guardare i ragazzi, e aprire il mio cuore perché possano entrare nella mia vita.
Io non posso portare altro che Gesù, niente di più della gioia e della attrattiva che lui ha su di me. L’ho capito da un ragazzo che ha appena conseguito la maturità. Ha partecipato a molti incontri e gesti comuni, era tra i più fedeli alla messa del mattino. È venuto a ringraziarmi perché ha avuto il coraggio di presentarsi al difficilissimo esame di ammissione al conservatorio ed è stato accettato per studiare da direttore di orchestra. Con mio grande stupore, mi ha raccontato che inizialmente non voleva provarci, che avrebbe voluto mollare, ma che, grazie a me, lo ha fatto. Io gli ho replicato che non capivo, non ne avevamo mai parlato. «È vero – mi ha riposto – ma lei c’era, era qui, io lo sapevo e sapevo che sarei potuto venire in qualsiasi momento da lei, se ne avessi avuto bisogno».
Questa è la speranza: la presenza di Cristo, che entra nella pochezza, nel limite, nella banalità e nel peccato che noi siamo, che non teme di usare di tutto questo per essere egli stesso presente nella vita delle persone. Tramite noi e spesso senza che noi ce ne rendiamo conto. Dobbiamo prenderne coscienza, e chiedere che nella nostra stessa vita non manchi mai questa presenza, perché possiamo anche noi fare la stessa esperienza di certezza di quel giovane studente che solo ci può far affrontare la vita pieni di speranza.
Nella foto, Gianluca Carlin, in missione a Colonia dal 2009, con alcuni ragazzi del catechismo.