Cari amici,
cari fratelli e sorelle,
illustri autorità,
il discorso che il vescovo rivolge annualmente alla Città in occasione della festa del nostro Patrono, san Prospero, mi ha offerto ogni volta l’opportunità di riflettere e di rispondere alla domanda: quale può essere la questione esistenzialmente importante su cui dialogare con chi, credente o no, vive con me in questa città e in questo tempo?
Il primo anno parlai della povertà, delle sue luci e delle sue ombre, come crisi e assieme opportunità di cambiamento. L’anno scorso ho fissato la mia e vostra attenzione sulla realtà della famiglia e dei figli. Oggi vorrei riflettere con voi sul cambiamento che sta avvenendo sotto i nostri occhi, nella nostra società, e che coinvolge tutto intero il nostro Paese e gran parte del mondo occidentale. Tante sono le analisi di tale trasformazione la cui rapidità ed estensione talvolta ci disorientano e ci spaventano.
Eppure, voglio dirlo subito, all’inizio di questo mio intervento, siamo chiamati a vivere in questo mondo, in questo tempo, consapevoli, certo, delle difficoltà, ma anche ricchi delle esperienze e della sapienza che vengono dai nostri padri e dalle diverse appartenenze che ci contraddistinguono.
In particolare, per noi cristiani la fede – che come un dono abbiamo ricevuto, un dono da far fruttare e comunicare – non ci astrae dalla storia, ma anzi ci abilita con una luce nuova e con una intelligenza profonda dell’umano a rischiare, con l’aiuto di Dio, percorsi di risposta alle attese dell’uomo e della società, originali e pertinenti, anche se sempre riformabili.
L’unità della storia e del bene
La storia dell’uomo presenta tornanti, come quello che stiamo vivendo, in cui sembra quasi che un mondo stia per finire senza che si intravveda quello nuovo che sta nascendo. Il nuovo nasce spesso nascostamente, come Gesù a Betlemme, ma quanto più esso ha radici profonde nel cambiamento del cuore e della mentalità dell’uomo, tanto più saprà esprimersi anche come novità sociale. Sarà quella città posta sul monte, quella lampada sul lucerniere di cui parla Gesù nel Vangelo (cfr. Mt 5, 14-15).
Di che cosa abbiamo più bisogno in questo momento?
Innanzitutto abbiamo bisogno di non slegare il passato dal presente e dal futuro. Così come di non slegare la scienza, l’economia e la tecnologia dal bene dell’uomo.
Assistiamo oggi a delle divaricazioni che in una certa misura sono sempre esistite, ma appaiono nel nostro tempo come una vera e propria divisione.
Sempre, fisiologicamente, chi è anziano è portato a guardare indietro, a soffrire il cambiamento, a vedere tutto il bene in ciò che è stato e tutto il male in ciò che è. Sempre il compito, quasi istintivo, dei giovani, è stato di guardare avanti, fino a disprezzare il passato. Ma non si è mai spezzata interamente una linea di comunicazione.
Sarà così anche nel nostro tempo? Non si può costruire il futuro dimenticando il passato. Esso nasce coniugando memoria e speranza.
In particolare dobbiamo custodire le parole, le evidenze, i valori su cui si fonda la storia dell’uomo. Ci sono parole scritte nel codice più profondo della coscienza: bene e male, vero e falso, giusto e ingiusto. Esse fondano anche i rapporti affettivi fondamentali: madre, padre, figlio, fratello, sorella, amico. Proprio dalla predicazione di Cristo abbiamo imparato, a poco a poco, a guardare all’uomo e alla donna come a persone e non più semplicemente come a individui.
Ciascuno di noi è relazione, con una sua propria particolarità irripetibile, aperta all’universo, alle altre persone, alla natura, alle conoscenze. Ciascuno di noi necessita dei legami che lo costituiscono, lo arricchiscono, gli rivelano il suo vero “io”.
Il secolo passato è stato il secolo delle scoperte scientifiche applicate alla tecnica. Ma abbiamo visto quali pericoli reali abbia corso l’umanità, per esempio con la scoperta della scissione dell’atomo. Si potrebbero fare molti altri esempi.
Che cosa dovremmo aver compreso? Che l’uomo ha nelle proprie mani la possibilità di crescere e di autodistruggersi. Un potere concentrato sempre più nelle mani di pochi scienziati, di pochi gestori dei beni del mondo, che spesso non sono interpreti del bene dell’uomo, ma di propri personali interessi e lusinghe, non può portare ad un cammino sicuro verso una vita migliore per molti.
Eppure non è questa una battaglia impossibile. Credo e, sono sicuro, in molti crediamo al valore luminoso e profetico di scienziati che non dimenticano che nella realtà dell’uomo e del creato, come ci ha efficacemente ricordato papa Francesco nell’enciclica Laudato sii, tutto è unito. Non si può essere contro la guerra portatrice di morte e considerare la vita nascente come un oggetto di cui disporre. Crediamo al valore di una economia che non si esaurisce in speculazioni finanziarie, ma mantiene il rapporto con l’impresa e il lavoro dell’uomo, da suscitare, sostenere, difendere.
+ Massimo Camisasca
24 novembre 2015
Solennità di san Prospero
(Foto Alessio Toncher).