Quando mi chiedono perché sono in missione negli Usa, che cosa mai vada a fare un missionario negli States, il mio pensiero va a san Paolo. Il missionario per eccellenza ha sempre considerato la sua opera a Roma come la più importante di tutte perché sapeva che, se il cristianesimo avesse penetrato la mentalità romana, avrebbe poi conquistato il mondo intero. Per analogia, io penso che il nostro ruolo in America sia simile. La cultura statunitense, infatti, genera oggi la mentalità dominante di una parte rilevante della popolazione mondiale. Più la globalizzazione procede, più un numero crescente di persone entra nella sfera d’influenza degli Stati Uniti.
Una delle idee di fondo della cultura americana è questa: la felicità viene dal perseguire quello che tu consideri come scopo della tua vita. Una sentenza della Corte Suprema riguardante l’aborto afferma testualmente che nel diritto alla felicità è anche iscritto il diritto di ogni uomo a definire il significato della propria esistenza. Oggi si tende a pensare che la ricerca della felicità (pursuit of happinness) coincida con il lavorare affinché si realizzi il significato della vita che ciascuno, nella sua libertà, ha predefinito.
Tuttavia questo ideale contrasta, di fatto, con tanti aspetti della propria esperienza che non si possono manipolare, malgrado i mezzi sempre più potenti che la società e lo Stato hanno per controllare ciò che fino a poco tempo fa era impensabile. Chi si scontra con questi limiti, senza mettere in discussione quell’ideale, comincia a odiare se stesso al punto di farsi del male. Nella scuola in cui insegno, per esempio, moltissimi ragazzi infliggono volontariamente dei tagli sul proprio corpo. Perché lo fanno? Esattamente per questa idea: io non posso essere quello che voglio. Ciò che mi impedisce di essere ciò che voglio è la mia stessa persona.
Di fronte a fenomeni simili, qual è il contenuto più importante che io posso portare ai ragazzi della scuola dove insegno? È l’annuncio di Cristo come unico ideale veramente umano, e umano perché divino. È il rapporto con Lui, oggi, che riempie la vita di gioia, verità e libertà. Non importa quanto sia grande il male che uno ha fatto, Lui ha già pagato. Ed il Suo sacrifico è, misteriosamente, la possibilità di compimento. Il vero compimento, dico loro, non è fondato su quello che fai. Quello che vuoi, anche se ancora devi scoprirlo, è la verità che Lui incarna. Lui sa di cosa è fatto il tuo cuore e che cosa ti può rendere libero e lieto.
L’annuncio di Cristo è la testimonianza di una comunione reale che già vivo, di una storia di cui sono già parte. Annunciare il Signore significa testimoniare la comunione e l’amicizia che genera la mia vita, tutti i giorni. Io vivo questa comunione nella mia casa, nella Fraternità san Carlo, nella comunità di Washington, fatta di famiglie che portano insieme l’annuncio di Cristo.
Questo è ciò che posso portare nella mia missione a scuola: l’annuncio di Cristo che rende possibile nei miei ragazzi l’apertura e l’amore a Dio, un annuncio che spalanca la strada della vera amicizia.
(Foto Seth Roby)