Un matrimonio civile messo alla prova dalle circostanze della vita: una storia di perdono e di fede attraverso il racconto di don Paolo Desandrè.

Circa due anni fa ho conosciuto una signora, madre di due bambine che frequentavano il catechismo. Spesso veniva a messa, aveva iniziato a seguire varie iniziative proposte in parrocchia. In quelle occasioni ho scoperto che era sposata solo civilmente. Nonostante questo, ogni volta si accostava all’Eucarestia. L’annuncio della misericordia di Dio passa attraverso l’affermazione della verità, che non può essere oscurata dalla paura di ferire l’altro. Così, un giorno ho deciso di parlarle con sincerità e franchezza, cercando di presentarle le ragioni per cui la Chiesa la invitasse a un cammino di approfondimento della sua fede per poter ricevere la comunione con frutto. Dopo quell’incontro lei si arrabbiò molto e non venne più a messa.
Passato un po’ di tempo, la signora mi chiamò e mi propose di incontrarci nuovamente. Mi disse subito, entrando in ufficio: «La mia anima urla! Non poter ricevere l’Eucarestia mi fa soffrire terribilmente. Ho detto a mio marito che desidero consacrare la nostra unione perché voglio ricevere la comunione, anche per essere in grado di sostenere tutte le prove e le sofferenze che la vita non ci risparmia».
Abbiamo iniziato l’iter per ottenere la sanatio in radice del matrimonio. Dopo due anni di obbedienza alla Chiesa, ha potuto ricevere la confessione e la comunione sacramentale. Questa esperienza mi ha colpito tanto che ho chiesto al Signore di potere avere sempre lo stesso desiderio, la stessa coscienza appassionata e commossa di quella signora di fronte all’Eucarestia, di superare il modo scontato con cui a volte vivo il mio rapporto con Lui.
Un altro fatto più recente mi ha confermato, ancora una volta, che si può portare Dio solo ponendosi con verità di fronte alle persone. Una giovane educatrice mi aveva informato che un bambino della sua classe di catechismo continuava a fare assenze. Ultimamente, lei non lo aveva più visto neanche la domenica a messa. Aveva chiamato i genitori i quali, imbarazzati, avevano accampato delle scuse.
Abbiamo deciso allora di andare a trovarli a casa, non per fare loro una filippica moralistica, ma per capire meglio chi fossero e che cosa stessero passando. Il semplice gesto di entrare a casa loro è stato bellissimo. I genitori hanno capito che non eravamo lì per giudicarli, ma perché eravamo interessati alla loro vita e alla loro storia. Io sono dovuto andare via presto, ma la catechista si è trattenuta. In seguito, mi ha raccontato che erano come un fiume in piena di domande sulla parrocchia, sulla fede, sulla nostra esperienza.
Sono convinto che per quella famiglia il pomeriggio che abbiamo passato insieme sia stato più importante di un anno intero di catechismo. Quando la realtà ci delude o ci presenta una difficoltà, possiamo abbandonarci al pessimismo oppure farne un’occasione, entrare in profondità in un mondo che non conoscevamo, lasciarci sorprendere dallo sbocciare di nuovi fiori e frutti.

Nella foto, don Paolo Desandré nell’oratorio della parrocchia romana di Santa Maria del Rosario ai Martiri Portuensi.

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