Dopo tanti anni di sacerdozio posso affermare che, potendo scegliere, rifarei questa vita. Ho ricevuto molto più di quanto potessi immaginare il giorno dell’ordinazione. Ho avuto il centuplo in tutto, secondo la promessa di Gesù. Anche nelle tribolazioni. Esse per la maggior parte sono causate dagli uomini. Sono permesse da Dio per la nostra correzione. Forse, qualche volta, provengono direttamente da Lui.
Ho avuto cento volte tanto nell’esperienza dell’umano. Certamente è stata fondamentale la scuola di don Giussani, ma, a partire dal suo insegnamento, è stato decisivo l’incontro con le migliaia di persone che Dio mi ha permesso di incrociare lungo il mio cammino. Su molte di queste persone ho avuto responsabilità dirette. Non avrei mai raggiunto la conoscenza dell’uomo che Dio mi ha concesso se non avessi aderito al Suo invito a seguirlo sulla strada del sacerdozio.
Il sacerdote è un punto di riferimento per tantissime persone. Anche nel nostro mondo secolarizzato. Certo dipende anche dall’apertura, dalla disponibilità e dalla generosità del suo cuore. Non dobbiamo dimenticare che il sacerdozio è una vocazione di costruzione sociale. Il prete è chiamato a essere edificatore di una società nuova, che troverà espressioni esteriori secondo il volere di Dio, ma che può nascere solamente dalla conversione del cuore.
Ho ricevuto il centuplo come conoscenza di Cristo. La vita sacerdotale mi ha dato la possibilità di pregare, di fare silenzio, di accedere alla Scrittura, ai testi dei Padri della Chiesa, ai Padri di ogni tempo, in una misura altrimenti impossibile. Le responsabilità che mi sono state affidate sono state un ulteriore incentivo, costringendomi a una profondità alla quale non sarei mai giunto. A poco a poco, nel tempo, la confidenza con il silenzio e la meditazione diventa una visione sapienziale dell’esistenza, una saggezza che permette di guardare in modo diverso tutto ciò che accade.
Ho ricevuto cento volte tanto nella conoscenza di Dio Padre. È l’esperienza soprattutto degli ultimi anni. Non l’avrei mai immaginato, perché fare esperienza di Dio sembra cosa impossibile per l’uomo. Dio è colui il quale i nostri concetti non possono raggiungere, che il nostro cuore non può contenere. Non è Egli tanto alto sulla terra da rendere irrealizzabile il rapporto con Lui? E se pure tale relazione fosse possibile, come potremmo parlarne? Dove trovare le parole per descrivere ciò che esorbita dalla nostra capacità di comprensione? L’impossibilità ad entrare in rapporto personale con Dio viene vinta dall’esperienza dell’incontro con Lui. Egli rimane l’Assoluto, l’Infinito, l’Immenso, ma si rende realmente presente nella nostra vita di uomini. Per me è accaduto anzitutto nel silenzio e nella preghiera, dove la presenza di Uno che conduce la vita diventa reale esperienza. Mi accorgo che è Dio perché rimane sempre un assoluto, sempre diverso da come lo riesco ad immaginare. È Dio perché mi chiede una disponibilità totale alla sua iniziativa, specialmente in ciò a cui ho già aderito. Ho già detto il mio “sì”, sono già diventato prete, ma lo sviluppo della mia vocazione è nelle sue mani. Lui stabilisce dove e come condurmi, a me è chiesto di rinnovare la mia disponibilità.
Dio è la pietra su cui tutti noi dobbiamo poggiare. Ciò significa, concretamente, che io non sono l’attore che costruisce la storia, ma semplicemente un canale che trasmette l’azione di un Altro. Mi sono occorsi degli anni per arrivare a tale consapevolezza. Vivo ogni giorno la necessità di essere interamente dentro ogni azione e, allo stesso tempo, di esserne interamente fuori. Dentro fino in fondo, con tutto me stesso, eppure interamente fuori, libero, consegnato nelle mani di un Altro. È questa la strada della autentica costruttività e della vera fecondità.
(Il testo è tratto da un intervento tenuto durante il ritiro degli ordinandi della Fraternità san Carlo nella Trappa di Vitorchiano, il 23 giugno 2010).
Nella foto, il momento dell’imposizione delle mani durante le ordinazioni sacerdotali celebrate nel giugno 2015 (foto Giovanazzi).