Qualche tempo fa, alla fine dell’anno scolastico, domandai ai miei studenti di terza media se ci fosse un argomento che li avesse colpiti in modo particolare. Una studentessa rimase sul generico: «Mi sono piaciute le vite dei santi». Non mi era mai sembrata molto partecipe alle lezioni, per questo il mio insistere non fu molto convinto: «Ne ricordi almeno una?». La sua replica mi sorprese: «Me le ricordo tutte». Allora chiesi di nuovo: «E perché ti hanno affascinato?». «Perché tante volte io faccio le cose per niente, mentre loro sono persone che vivono e muoiono per qualcosa».
La vita dei santi colpisce più di tanti discorsi e tante spiegazioni. Porta in sé un fascino potente, che desta il desiderio di cose grandi. Per questo i ragazzi le ascoltano volentieri. Non scorderò mai la prima volta in cui raccontai la storia di Abramo. Temevo che non sarei riuscito a farmi ascoltare, ma appena iniziai a parlare, sulla classe scese un silenzio quasi magico. Raccontai di quanto Abramo desiderasse un figlio, dell’ora piena di mistero in cui Dio per la prima volta pronunciò il suo nome, della partenza verso un luogo che non conosceva. «Però il tempo passava e il figlio non arrivava, e forse Abramo ogni tanto era assalito dall’incertezza, perché ormai aveva più di ottant’anni. Ma una notte il Signore lo invitò ad uscire dalla sua tenda. Era una notte stupenda, piena di silenzio, col cielo limpido, scuro, trapuntato di stelle. Abramo alzò lo sguardo e rimase a bocca aperta. Poi udì la voce di Dio che gli disse…». Fu proprio in quel momento che suonò la campanella. «Ve lo dirò la prossima volta». Sguardi spaesati. Poi una supplica: «Noooo! Ce lo dica adesso, per favore!». Quasi mi impedivano di uscire dalla classe. Quel giorno ho capito che un buon insegnante non deve spiegare, deve raccontare.
Raccontare la vita dei santi significa mettere i ragazzi di fronte ai propri desideri più veri e dire loro che c’è qualcuno che li può realizzare. In un’altra terza media, sempre alla fine dell’anno, ho chiesto ai miei studenti che cosa volessero fare da grandi. Tutti mi hanno dato le loro risposte, tranne uno, che ha preferito rimanere zitto. Alla fine dell’ora un suo compagno mi ha rincorso nel corridoio: «Prof, io lo so perché non ha parlato. Perché lui, da grande, vuole fare il santo».
In classe racconto la storia dei personaggi dell’Antico Testamento e anche del Vangelo, come Zaccheo, il giovane ricco, il centurione… poi, in terza media, le vite dei santi che mi sono più cari. Ad un certo punto ci è venuta l’idea di scriverle, ed è nata la collana di libri illustrati che si chiama «Storie di uomini, storia di Dio». Per ora sono usciti tre volumi, ma ne seguiranno altri. Nell’ultimo ho provato a raccontare la vocazione di Francesco d’Assisi. Ho scritto che aveva tutto eppure si sentiva inquieto. Per questo alle volte si allontanava dal gruppo e si fermava a guardare in silenzio le colline. Il vento che agitava i boschi gli sembrava un richiamo verso orizzonti più vasti, verso un bene che sentiva e non conosceva. Francesco capiva che Dio aveva in serbo qualcosa per lui. Quando ne udì la voce non esitò a dirgli di sì. E iniziò per lui un’avventura impensabile, che avrebbe riempito di luce la vita sua e dei suoi amici. Anche dei suoi amici di oggi. Come mi ha scritto Andrea: «Ogni volta che sento raccontare la storia di Francesco sento un sorriso che mi nasce dentro al cuore».
Vengono in mente le parole del cardinale Schuster: «La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un santo autentico, vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio».
Nella foto, Andrea Marinzi (a destra) durante un momento di canti con i bambini del catechismo, presso la parroc- chia di Sant’Isaia a Bologna.