Il giorno benedetto

Proponiamo una lettera che mons. Camisasca ha indirizzato ai neo presbiteri della Fraternità san Carlo: la vita del sacerdote è immergersi nella divina umanità di Gesù.

Gerhard Richter, «Clouds window» (1932)

Carissimi Daniele, Giacomo, Giorgio, Philip, Andreas, Andrew e Luca,

quest’anno piuttosto che ripresentare una riflessione sul sacerdozio come ho fatto negli anni passati, preferisco “spedire” a ciascuno di voi una lettera personale esprimendo i pensieri e i sentimenti che mi occupano, rivolgendomi al giorno benedetto della vostra ordinazione presbiterale.
Parlo di “giorno benedetto” perché da quel momento si apre per ciascuno di voi un’avventura meravigliosa. Ne sono profondamente convinto, guardando ai miei anni di sacerdozio e a quelli di decine e decine di altri preti che ho incontrato nella mia vita.

La vita del prete è, innanzitutto, un continuo immergersi nell’oceano che è la divina umanità di Cristo. Quando sono stato ordinato, ormai quasi cinquant’anni fa, non potevo immaginare il lungo viaggio che avrebbe compiuto la mia persona. Ho paragonato la realtà di Gesù ad un oceano. Non so trovare un’immagine più adeguata. San Paolo ci parla della profondità, dell’altezza, della lunghezza, della conoscenza di Cristo. Non si può entrare nelle sue acque con una barca inadeguata. Occorre la compagnia della Liturgia delle Ore: essa è stata una delle scoperte più luminose nei miei anni di sacerdozio. Ha preparato e continuato la celebrazione eucaristica, disseminandone i frutti nelle ore della settimana. Assieme alla preghiera e accanto ad essa, voglio ricordare subito l’imbarcazione rappresentata dagli amici. L’amicizia è un dono insieme gratuito e necessario. Senza di essa non avrei potuto solcare il mare di Cristo, soprattutto nei giorni più burrascosi e difficili.
Rendo grazie a Dio di avermi insegnato il silenzio attraverso l’insistenza che ascoltavo nelle lezioni di don Giussani ai Memores Domini. Lo ringrazio di avermi regalato la vita comune e una Fraternità che si è presa cura della mia vita, esaltandomi nel bene e correggendomi nel male.

Nel lungo viaggio dietro i passi di Cristo tutta la nostra umanità viene esaltata.


Assieme all’universo di Dio, il sacerdozio cresce in una familiarità progressiva con l’universo degli uomini. L’aspetto più riassuntivo e più esaltante della vita presbiterale è il prendersi cura delle ferite dei fratelli. Attraverso l’olio della predicazione, l’unguento dei sacramenti e la carità della vicinanza. Il sacerdote partecipa della vicenda del Buon samaritano che è Cristo Signore. Prende su di sé per portare a Cristo, per portare nella Chiesa che è l’ostello di cui parla la parabola raccontata da Gesù.
Prendere su di sé e portare a Cristo: chi può renderci così forti da non soccombere noi stessi sotto il peso del nostro ministero? Posso dire di aver sperimentato sempre questa strana sensazione: colui o colei che veniva da me era già preso in carico, fin dal primo momento, dall’umanità di Gesù. La fatica passa presto e si converte nella dolcezza dell’essere presi a servizio.
Nel lungo viaggio dietro i passi di Cristo tutta la nostra umanità viene esaltata.
Ci sono momenti di grandi potature e di grandi sacrifici, nottate insonni e ferite sanguinose. Tutto questo non è che la partecipazione alla croce di Cristo che si converte ben presto nell’alba della resurrezione.
Già da ora, porto ciascuno di voi in questo mio tempo più profondamente dedicato alla preghiera e al silenzio e vi auguro di non opporre mai resistenza al vento dello Spirito Santo che vi indicherà, in modo dolce e forte, i passi successivi della vostra misteriosa figliolanza.
Don Massimo

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