Don Jonah Lynch racconta la sua esperienza di preghiera davanti al mosaico di Rupnik che abbellisce la cappella della casa di formazione di Roma

Quando entro nella nostra cappella con il mosaico, la mia prima impressione è gioia e meraviglia. Tutto è inondato di luce. Fa respirare questo mosaico. Fa anche inginocchiare. Ci inginocchiamo volentieri e ci rendiamo conto di assumere la nostra vera statura. Siamo aiutati a riconoscere la grandezza della nostra vocazione e la bontà di Dio che l’ha preparata all’interno di una storia immensa, che parte dalla creazione e arriva a noi attraverso i grandi testimoni del nostro tempo. Nostri avi sono Abramo, Maria, Giovanni e Andrea, e via via fino a san Carlo, il beato Giovanni Paolo II e Luigi Giussani.

Forse la prova più convincente che quest’opera è artisticamente valida e profondamente utile alla preghiera è il fatto che il gusto di contemplarla non diminuisce col tempo. Ogni giorno entriamo nella cappella quattro volte per pregare. Ogni giorno siamo davanti a questa scena per circa due ore. E anche dopo anni ci stupisce e ci arricchisce ancora.

Dopo un primo sguardo, l’occhio comincia a percorrere le fessure fra le pietre, a seguire le linee del disegno e a scandagliare la ricca variazione di colori e di superfici dei materiali. Pian piano emergono altre scoperte, alcune volute dagli artisti, altre personalissime intuizioni.

Dal racconto della storia del mondo, l’occhio passa allo sguardo di Cristo e poi al gesto della Madonna. Sosta volentieri anche sul fascino semplice delle pietre e degli specchi d’oro e d’argento. La storia sacra rende anche i sassolini infinitamente interessanti; le pietre rendono visibile il Mistero.

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