Massimo Camisasca è vescovo di Reggio Emilia-Guastalla dal 2012. Milanese, cresciuto negli insegnamenti di don Luigi Giussani, ha persino un passato «sportivo»: fu il cappellano del mitico Milan di Arrigo Sacchi. Oggi, pastore attento e scrittore prolifico, è in prima linea nella difesa dei sempiterni principi teologici e morali della Chiesa. Per questo La Verità gli ha chiesto di intervenire su un tema eticamente scottante: l’ eutanasia. L’associazione Luca Coscioni e i radicali hanno già raccolto oltre 750.000 firme per il referendum che dovrebbe abrogare parzialmente il reato di omicidio del consenziente. Sarebbe il primo passo per legalizzare la «dolce morte».
Eccellenza, iniziamo dai concetti basilari: perché la Chiesa si oppone sia al suicidio assistito, sia all’eutanasia attiva?
«Perché l’ uomo non è padrone della propria vita. Per comprendere questa affermazione è necessario entrare nelle linee fondamentali che guidano una delle culture prevalenti dell’ epoca contemporanea, quella che Giovanni Paolo II chiamava “cultura della morte” e Francesco chiama “cultura dello scarto”».
Che conseguenze comportano queste culture?
«L’ uomo che si sente padrone di sé stesso, anche se non può non avvertire i limiti della propria esistenza quali la malattia e la morte, decide di allontanare da sé il più possibile i segni di tali limitazioni».
Ad esempio?
«Non si parla più di morte, ma di addio. Non si parla più di malattia, nascondendola dietro il diritto alla salute. Siamo invitati a riconoscerci come illimitati e onnipotenti, diventiamo così disumani. L’umanità invece sta nella cura, nel prenderci cura di noi stessi e degli altri».
Se passa il diritto di uccidere partirà la catena delle morti.
In che modo?
«Lo Stato dovrebbe in tutti i modi sostenere le cure palliative, le terapie del dolore, aiutare attraverso una presenza infermieristica costante le famiglie segnate dalla drammatica realtà di malati inguaribili. Dobbiamo riscoprire il valore di ogni esistenza, anche la più tormentata».
E chi non sopporta più quei tormenti?
«Be’, questo non significa giudicare il dramma di chi vive, magari da anni, assistendo un proprio caro e non ce la fa più e neppure quello di chi desidera morire, stremato dalle lunghe prove».
Appunto.
«Tutto ciò però non giustifica il diritto a porre fine alla propria vita, né soprattutto può dare ragione a uno Stato che giustifichi tale diritto anche per legge».
Perché la Chiesa dice no sia all’ eutanasia attiva e passiva, sia all’ accanimento terapeutico?
«L’ accanimento terapeutico che vorrebbe salvare a tutti i costi dimentica che l’ uomo è mortale. L’ eutanasia attiva o passiva dà all’ uomo le chiavi della propria soppressione, anche qui dimenticando che egli è creatura».
Teme che il referendum promosso dai radicali, che mira alla parziale abrogazione del reato di omicidio del consenziente, sia il primo passo in direzione di una legge sull’ eutanasia basata sui modelli di alcuni Paesi nordeuropei, come Belgio e Olanda?
«Autorevoli uomini del diritto come Giovanni Maria Flick e Luciano Violante hanno sostenuto che una legislazione che vorrebbe affrontare alcune problematiche singole finisce sempre per riconoscere dei diritti universali».
Quindi?
«Se noi diamo all’ uomo il diritto di uccidere non potremmo più fermare la catena delle morti. Perché allora combattere la pena di morte? Perché combattere la violenza sulle donne? Tutte lotte sacrosante, ma che possono trovare la loro giustificazione e forza soltanto in una legislazione che riconosca il valore sacro di ogni vita».
La nostra civiltà lo sta perdendo di vista?
«La civiltà borghese è una civiltà schizofrenica, rivendica i diritti di tutti tranne che di coloro che creano problemi. Ripeto: la strada deve essere quella del sostenere in ogni modo chi è in difficoltà, altrimenti si ricade nella barbarie che consiste nell’eliminare chi si pone come ostacolo alla nostra quiete. È la stessa ragione per cui siamo caduti nell’inverno demografico».
A che si riferisce?
«All’assenza di speranza, al convincimento che non esisteranno aiuti nell’ affronto della difficoltà, che di fronte alle prove saremo soli. Questo è il muro da abbattere».
Dunque, c’ è il pericolo che venga istituzionalizzato il concetto di «vita indegna di essere vissuta»? Non per tirar fuori paragoni iperbolici, ma accadeva nella Germania dell’ Aktion T4, negli anni del nazismo.
«Le derive eugenetiche del nostro tempo sono state notate da tanti autorevoli pensatori. Mi impressiona notare come una massiccia informazione sui pericoli del ritorno del nazismo sia completamente cieca di fronte a questi aspetti».
Insomma, ci sono ragioni puramente laiche per essere contrari all’eutanasia?
«Tutte le ragioni che ho esposto sono ragioni laiche. Certo, esse sono sostenute e approfondite dalla fede, ma sono patrimonio di ogni uomo perché riguardano ogni uomo e ogni donna».
Per certi malati, tuttavia, la sofferenza può essere talmente insopportabile da trasformare la «dolce morte» – almeno apparentemente – in un gesto di pietà. Per farla breve: è legittimo che un malato cattolico scelga di abbracciare la croce del suo patimento fisico, ma è altrettanto legittimo che, in uno Stato non confessionale, un cittadino sia libero di decidere se e quando porre fine alle sue sofferenze.
«Di fronte a questioni così radicali è la ragione stessa che ci viene in soccorso».
Come?
«Non nego l’ immensa sofferenza di chi è segnato da malattie irreversibili, talvolta da lunghi anni, e il dolore e la fatica dei famigliari. La ricerca medica e la legislazione sociale sono chiamate ad aiutare queste situazioni drammatiche. Cosa farei io se mi trovassi in quelle situazioni? Per questo non giudico nessuno, ma nello stesso tempo non riesco a trovare le ragioni per una giustificazione della eutanasia attiva o passiva».
Teme, in definitiva, che l’ eutanasia cominci a essere applicata ai casi in cui pare davvero più ragionevole concedere un aiuto a morire – i malati di cancro o i tetraplegici – per trasformarsi poi nella soppressione di persone affette da profonde depressioni, ma non invalide né allo stadio terminale?
«Temo purtroppo che sia così».
Di recente, la Consulta ha provveduto a decretare non punibile l’ aiuto al suicidio in presenza di precise condizioni: che il proposito si sia formato liberamente e consapevolmente, che il paziente sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitali, o sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, che sia pienamente capace di assumere decisioni libere e consapevoli e che la sua richiesta sia valutata dai comitati etici delle Asl territorialmente competenti.
Lo ritiene un compromesso accettabile per una legge?
«Non mi sembra ragionevole pensare all’ eutanasia come a un diritto soltanto per alcuni. O lo è per tutti o per nessuno. Come giudicare il caso singolo? Ognuno giustamente pensa di essere quell’ eccezione a cui la legge farebbe riferimento. Chi stabilisce se per quella persona il dolore è intollerabile? Come valutare il dolore psichico? Ogni depresso avrà diritto all’ eutanasia? Ogni depresso ha pensato almeno una volta al suicidio».
D’ altronde, le pare plausibile che in Italia si continui a non varare alcuna legge in materia? Le maggioranze politiche sembrano sempre più concordi su questi temi.
«Occorre una legislazione più chiara sul sostegno alla vita, sulla cura della sofferenza e del dolore.
Occorrone un intervento finanziario più consapevole, una visione non economicistica dei problemi dell’ uomo. La priorità non è ridurre il numero dei malati, ma spendere di più per prenderci cura di essi».
Nella Chiesa avverte un unanime desiderio di dare battaglia contro queste derive etiche? O crede che certe correnti progressiste finiscano per fare il gioco della cultura nichilista?
«Ritengo che nella Chiesa di oggi ci sia poca attenzione alle tragiche derive culturali del nostro tempo».
Sì?
«Non si tratta tanto di fare battaglie, quanto di prendere coscienza della tragica svolta antropologica e di ricominciare a tessere, a partire dall’ educazione dei più piccoli, l’ alfabeto dell’ umano che abbiamo quasi completamente dimenticato».
Qualcosa si è incrinato nella capacità della Chiesa di parlare a questo mondo: nel 2005 i cattolici furono capaci di neutralizzare il referendum sulla fecondazione assistita, oggi è già tanto se si riuscirà a rinviare ancora l’ approvazione del ddl Zan. Cos’ è successo?
«La mentalità mondana è penetrata profondamente nella Chiesa. Ma questo è accaduto in ogni epoca della storia, in forme diverse. Questa sì, è una battaglia continua: contro lo spirito del mondo che vuole distruggere l’uomo riducendolo a una macchina al servizio dei potenti».
Come si può rimediare?
«Sono fondamentali una predicazione e un insegnamento che non dimentichino le verità fondamentali della vita presente e futura, dell’uomo come creatura, del peccato e della salvezza. Questo non riguarda soltanto i credenti. Il peccato e la salvezza riguardano tutti».
(Nell’immagine, J. Tissot, La guarigione dei dieci lebbrosi, 1896)