Stefano Tenti ha trascorso l’estate presso la Casa Mantovani a Bologna. Nella compagnia di una persona ospite, riscopre che Dio continua a desiderare di parlare con noi, di essere amato da noi.

Oggi è proprio dura. Stiamo camminando da quaranta minuti per il centro di Bologna, ma Irene non ha ancora smesso di piangere. Sembra inconsolabile. Irene è una ragazza ospitata a Casa Mantovani, una struttura a Bologna della Cooperativa Nazareno che accoglie persone con problemi psichiatrici. È giovane, ha studiato arte, poi improvvisamente ha avuto un forte tracollo e ha dovuto interrompere gli studi. Ora è ossessionata da dei problemi che le occupano interamente la testa. Non riesce a pensare ad altro. Così gli educatori di casa Mantovani le hanno chiesto di portarmi in giro per Bologna a vedere affreschi e opere d’arte. Ma oggi neanche passeggiare per la sua città la distrae un po’.
Mentre i portici scorrono, mi scopro molto impacciato. I miei superiori mi hanno proposto di passare qualche settimana estiva a Casa Mantovani assieme a tre seminaristi, ma non immaginavo che mi sarei trovato in una situazione del genere. Io e una ragazza in lacrime in giro per Bologna, da soli. Provo a parlare, a cercare di divagare, di cambiare argomento, ma lei torna sempre lì. I suoi pensieri la tormentano e non riesco a scalfire la sua attenzione. Intanto camminiamo da un’ora in una Bologna arroventata dal sole di fine luglio.
Finalmente Irene si ferma all’ingresso di una chiesa, Santi Vitale e Agricola. Guardo bene la facciata e mi ricordo di aver visitato questa chiesetta durante l’università. Entriamo. Irene si dirige verso la cripta. Noto che ha smesso di piangere da un po’. Scendiamo le scale e ci troviamo in una piccola stanza dal soffitto basso, intessuto di piccoli archetti sorretti da colonnine. L’accoglienza e il silenzio di quel luogo mi fanno venire voglia di pregare. Ci sediamo su una piccola panca guardando i resti dei due protomartiri bolognesi sotto l’altare. Quante cose sono cambiate dall’ultima volta che ero stato qui! Certamente ai tempi dell’università non pensavo al sacerdozio, tanto meno a ritrovarmi qui con Irene.
Dopo qualche minuto di silenzio, Irene mi chiede di pregare insieme. Tra lo stupito ed il contento, inizio un Padre nostro e poi un’Ave Maria. Dopodiché continuiamo a stare in silenzio. «Dio mi ascolta, vero?», mi chiede dopo qualche minuto. «Certo, Dio ti ascolta». Poi di nuovo silenzio. «Sai, io soffro molto. Posso chiedere a Dio di alleviare la mia sofferenza?». «Certo, tu chiediglielo. Il dolore che ti lascia, offrilo per le persone a cui vuoi bene». Ancora silenzio.
Nella luce discreta e soffusa di questa cripta, lentamente mi accorgo che vicino a me sta avvenendo qualcosa di sacro. Irene sta parlando con Dio e a me è concesso di esserle accanto, di servire questo misterioso scambio di sguardi e silenzi. Anche in una patologia così forte, Dio continua a desiderare di parlare con lei, Dio continua a desiderare di essere amato da lei, Dio continua a vedere in lei una segreta bellezza. È l’incantevole prodigio dell’uomo: anche quando è impossibilitato il rapporto con altre persone o persino con se stessi, rimane comunque la possibilità incancellabile di un rapporto con Dio. La bellezza del sacerdozio è poter servire questo dialogo.
Santa Caterina ha scritto che Dio è innamorato delle anime che ha creato. Quando si ama, si è molto sensibili ai moti che attraversano il cuore dell’amato, ne si è scossi, ne si è commossi, si partecipa ad essi. Si percepisce il dolore di una persona a cui siamo legati come fosse il nostro. Dio è follemente innamorato di Irene. Per questo il suo cuore divino si commuove per il dolore di questa ragazza, fino alle lacrime. Oggi un raggio di questa commozione sta scaldando il mio cuore e intuisco che ormai sono legato al dolore di Irene per sempre.
«Dio non mi abbandona, vero?», Irene interrompe i miei pensieri. «No, Dio non può abbandonarti, ti è più vicino di quanto lo sia io seduto qui accanto a te». Dopo qualche altro minuto di silenzio, recitiamo nuovamente insieme un Padre nostro ed un’Ave Maria, poi risaliamo e continuiamo il nostro giro alla scoperta di Bologna.

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