Sono arrivato alla nostra missione milanese, nella parrocchia di San Carlo alla Ca’ Granda, due anni fa. Mi attirava soprattutto la promessa di paternità che l’amicizia con don Antonio Anastasio – per tutti “Anas” –, aveva portato con sé. La sua malattia e la sua morte hanno ribaltato le immagini che mi ero fatto riguardo a quella promessa, però misteriosamente non l’hanno contraddetta: conoscendo i suoi figli, sono diventato figlio anch’io.
Nell’aprile del 2021 si è laureato un bel gruppo di ingegneri dell’università Bovisa. La maggior parte di loro già era accompagnata regolarmente da Anas. Mi hanno invitato a una cena per festeggiare l’evento. Si chiacchiera un po’ di tutto prima di arrivare alla domanda decisiva: come crescere nell’appartenenza a Cristo dentro la vita del movimento di Comunione e liberazione, anche senza gli argini offerti dal Clu (gli universitari del movimento), dall’aiuto e dal sostegno degli amici e dei riferimenti autorevoli nel quotidiano.
La sfida era grande, ho creduto si potesse azzardare una risposta rischiosa: “Perché non pensare di formare un gruppetto di fraternità?” ho proposto. “C’è bisogno di un luogo stabile che possa educare e custodire la libertà di ciascuno”. Al momento, non ebbi risposta. In seguito, però, emersero le obiezioni. Tra tutte, pesava soprattutto l’idea d’impegnarsi con un gruppo di persone che non ci si era scelto, nel quale non c’erano i propri migliori amici, ma che avrebbe dovuto sostenere l’adesione personale alla fede di ciascuno di loro.
A dispetto delle obiezioni, il gruppetto si è stabilizzato ed è cresciuto nella comunione. Forse era vero che in quella cena iniziale non erano stati loro a scegliersi, però, guardando a ciò che ne era nato, risultava evidente che erano stati scelti da Qualcuno.
Facendo memoria di quanto don Giussani afferma a proposito della vera affezione – «essa indica molto più un “attaccamento” che nasce dal giudizio di valore, dal riconoscimento di quello che c’è in noi e tra di noi, che una facilità sentimentale» – ci siamo proposti un lavoro comune: verificare che cosa c’entrasse questa compagnia con Cristo. Nel tempo, questi giovani hanno iniziato a percepire che erano stati chiamati insieme; a pensare alla vita come missione, a sentirsi implicati con Cristo. Due coppie hanno maturato il passo definitivo della loro risposta vocazionale: nel mese di agosto, abbiamo festeggiato insieme il loro matrimonio.
Un gruppetto di fraternità non nasce da un progetto, ma dalla decisione personale di appartenervi. Nasce da un giudizio che porta a verificare il legame tra la nostra unità e Cristo, tra una compagnia concreta e la missione. La scuola di comunità, la caritativa fatta insieme, l’implicazione personale con Gesù possono far emergere l’affezione a Lui. È commovente, guardando ai passi che quei giovani hanno compiuto, vederli ultimare in questi giorni una loro “piccola regola fraterna”.
Hanno capito che la loro compagnia è diventata vera perché essa li aiuta a maturare nella coscienza che la vita deve essere spesa per testimoniare Cristo, proprio attraverso la loro impossibile unità. Hanno scoperto che, nella vita, sono insieme per questo.
David Crespo è viceparroco di san Carlo alla Ca’ Granda, a Milano. Nella foto grande, un gruppo di universitari e giovani lavoratori durante una caritativa in parrocchia.