Il primo sabato del mese, siamo presenti al mercato con un piccolo stand. Chi vuole, si ferma a scambiare due parole. Una signora sulla settantina è in fila per comprare il pollo alla bancarella di fronte. Fa finta di ignorarci ma è curiosa, continua a guardarci di soppiatto. Appena ritira la spesa, mi avvicino: “Sono padre Riccardo, un prete della nuova comunità che è arrivata in parrocchia”. Qualche istante di silenzio, poi comincia ad elencare tutti i problemi della Chiesa e le proposte che ogni giorno i giornali propongono per risolverli: il sacerdozio femminile, l’abolizione del celibato dei preti, ecc. L’ascolto e la guardo negli occhi. Con la mascherina è difficile cogliere i messaggi che il volto comunica, ma come finisce di buttare fango sulla Chiesa, scoppia in lacrime: “Mi manca, la Chiesa!”. Le chiedo dove abita, la invito a partecipare all’adorazione che ogni giorno facciamo nella chiesa dietro casa sua. Alla fine, la signora mi saluta: “Mia nipote fa la preparazione alla cresima con lei. Spero di rivederla”. Spesso in Germania incontriamo persone divise tra sentimenti di indignazione e sconforto e il desiderio di appartenere a una comunità. Di fronte a loro, devo riconoscere che l’unica cosa che dona sollievo alle ferite dell’uomo è l’incontro personale con Cristo.
Siamo arrivati da Colonia nella nuova missione di Bonn a inizio settembre È un grande quartiere di 75 mila abitanti con 13 chiese, 14 asili parrocchiali, molte opere di carità. Siamo sei sacerdoti e un seminarista e le nostre giornate trascorrono senza una pausa, piene di incontri con i giovani, catechesi, confessioni, funerali, visite agli anziani e ai malati. La sera, spesso siamo ospiti a cena a casa di famiglie incuriosite dai nuovi preti. Da subito, hanno capito che siamo un corpo unico e gli inviti ormai arrivano insieme alla richiesta del numero per cui apparecchiare la tavola.
L’altro giorno, visito una famiglia per la preparazione al battesimo del figlio. Sul modulo leggo: padre evangelico, madre cattolica. Entro e vengo accolto da un ambiente freddo: la madre con la mascherina, il padre lontano sul divano, in braccio il piccolo Leander e il figlio maggiore di due anni. Mi avvicino al bambino per salutarlo e mi accorgo che ha la sindrome di Down. Cerco di far capire loro che ho notato la malattia del figlio, ma con la mascherina è difficile. Ci sediamo e incomincio a parlare del battesimo con la madre. Il padre finge di non essere interessato ma ha l’orecchio teso a quello che dico. Intuisco dal suo volto il peso che porta nel cuore. Cerco in tutti i modi di fare breccia ma sembrano impermeabili a ogni parola o gesto di affetto. Sto per lasciare la casa quando chiedo, per la terza volta: “Ma voi, che cosa desiderate per vostro figlio?”. Finalmente, la madre si apre e racconta della gravidanza, della diagnosi, delle prime operazioni al cuore del figlio. Intuisco tutto il dolore del padre. Alla fine, lei dice: “Desidero che mio figlio sappia che è amato”. Il marito balza dal divano e mi porge una foto del bambino. Il giorno dopo mi scrivono per ringraziarmi della visita. Ricordo le parole che ci diceva don Massimo quando ci preparava alla missione: “Penso che il grosso dramma dell’uomo contemporaneo sia la solitudine. Il primo compito che abbiamo è costituire un focolare“. Ogni giorno incontriamo gente che, come questa famiglia, chiede di essere aiutata a portare i pesi della vita con una speranza. Siamo chiamati a portare un punto di luce e di calore nella giornata delle persone che ci sono affidate.
Riccardo Aletti, ordinato sacerdote nel giugno 2020, è vicario parrocchiale dell’unità pastorale Bad Godesberg, a Bonn (Germania). Nella foto, durante un pellegrinaggio ad Assisi con i ragazzi della parrocchia.