«Cosa vuoi da me, Signore?»: da una domanda che nasce nel profondo del cuore, un cammino fatto di gioie e sofferenze, fino all’incontro decisivo. Ecco cosa ha portato Mariagrazia ad entrare nelle Missionarie di San Carlo.

La mia storia inizia con un atto di affidamento alla Madonna di Fatima da parte di mia mamma, prima ancora che io nascessi, a causa di alcuni problemi sorti durante la gravidanza e risoltisi, inaspettatamente, il giorno dell’Assunta.
Sono cresciuta in un piccolo paese molto vicino a Varese, Induno Olona, ai piedi del Monte Monarco, del Campo dei Fiori e del Sacro Monte. Ho frequentato il liceo scientifico statale a Varese e poi mi sono laureata in Lettere Moderne all’università Cattolica di Milano.
Sono profondamente grata a Dio per la famiglia, per i luoghi e per le comunità in cui Lui mi ha posto, riconosco che attraverso di essi il Signore ha immesso una grande ricchezza nella mia vita, deponendovi tanti semi buoni. Tra questi, riconosco in particolare tre esperienze che hanno segnato la mia persona: l’amore per la Bellezza; le amicizie autentiche e l’esperienza della croce unita alla resurrezione.
La bellezza: devo a mia madre Annalisa il grande amore per l’arte, la capacità di guardare e ascoltare le cose belle, la passione per la ricerca e il suo metodo. Devo a mio padre, Giacomo, chimico e montanaro, la cura del particolare, lo stupore per l’ordine del creato, oltre che un carattere focoso fiorentino, unito però a una grande dolcezza. Da entrambi ho ricevuto la passione per la montagna (quante camminate e ferrate estive sulle Dolomiti!) e per la musica.
Le amicizie: sono sempre stata accompagnata, fin da piccola, da amicizie intense, ma i rapporti più veri sono iniziati con il mio incontro col Movimento in terza media, nella compagnia degli Scout. Lì e negli anni successivi di Gs si sono stretti legami profondi, autentici che mi accompagnano fino ad oggi. Martina, Michele, Marco, Benedetta… Ci interessava tutto ciò che era bello e ragionevole. E quando eravamo insieme, cantavamo sempre! Di questi anni, trattengo altre due esperienze decisive per la mia vocazione. La prima è l’incontro con san Francesco e santa Chiara, quando avevo 15 anni, ad Assisi. Fu la prima volta che intuii con chiarezza che a Cristo non si poteva che dare tutto. La seconda esperienza è stato il lavoro nelle pulizie al Meeting di Rimini. Nel fare la cosa più umile e nascosta ho sperimentato la vera letizia e pienezza che nascono dalla gratuità pura, dallo spendersi per la gloria di Cristo e del suo popolo.
L’incontro con Martino, Francesca e Francesco ai banchetti di accoglienza delle matricole in Cattolica, è stato l’inizio del dilatarsi, ad ogni ambito della vita, di quella esperienza. L’appartamento, i gruppetti di aiuto allo studio, il coro, la caritativa al Centro Culturale: sono stati anni appassionanti, segnati dall’incontro con persone tese alla santità, che vivevano tutto con un’intensità contagiosa.
Infine, la croce e la risurrezione: in quegli stessi anni scoprono a mia madre un tumore alle ossa. Ricordo esattamente il momento e il luogo in cui ho ricevuto questa notizia, che mi ha letteralmente buttato in ginocchio, ma non per la disperazione. È stato come ricevere un abbraccio talmente forte da togliere il fiato, da fare male; ma ero certa che quella stretta era una chiamata, per quanto dolorosa, ad una vicinanza, ad una intimità maggiore con il Signore.
La concomitanza di queste due esperienze, la più bella, nella comunità del Clu, e la più dolorosa della mia vita, vissute insieme, per me sono state come un dito di Dio puntato addosso, che ha generato in me, potente, questa domanda: «Cosa vuoi da me, Signore?».
Il quarto anno di università, il 2005, quando avevo 23 anni, è stato un anno ricco di eventi decisivi: lo stringersi dell’amicizia con le monache Romite del Sacro Monte, la morte della mia zia Nene, la morte di don Giussani e di Giovanni Paolo II, l’incontro con madre Cristiana delle clarisse di Gubbio. È con queste esperienze nel cuore che sono “capitata” a Roma alle ordinazioni della San Carlo il 25 giugno del 2005, dato che cantavo nel coro degli universitari.
La bellezza della liturgia in Santa Maria Maggiore; la faccia raggiante degli ordinandi che si rialzavano da terra, dopo la prostrazione, cantando “prendi pure la mia vita, io la dono a te”; il modo in cui seminaristi e sacerdoti stavano tra di loro accogliendo nella loro comunione la gente. Tutto questo mi ha fatto intuire una amicizia così profonda, così desiderabile! Davvero una fraternità, un luogo dove poter amare Dio e lasciarmi amare da Lui, in una radicalità di donazione e di apertura al mondo: era la risposta a quello che cercavo.
Attraverso un amico seminarista ho conosciuto, due mesi dopo, don Paolo Sottopietra. Con lui sono nati un’amicizia e un dialogo molto profondi, in cui si è dipanato quel “grumo di desideri” che mi premeva nel cuore, declinandosi in esigenze precise, come quella del silenzio e della preghiera propri di una vita consacrata, della disponibilità totale rispetto alla professione, di essere un segno visibile nel mondo, di poter servire la missione della Fraternità san Carlo. L’incontro con Rachele, avvenuto a Milano in modo fortuito, non pianificato, mi ha profondamente segnato e confermato. Dopo la nostra prima chiacchierata, in un bar vicino alla Cattolica, sono uscita con questa certezza: «Qualunque cosa accada, io questa ragazza non la mollo più!». Il 30 agosto 2007 sono entrata nelle Missionarie, che il 25 marzo di quello stesso anno erano state riconosciute dal vescovo di Porto – Santa Rufina.
Mia mamma ha immensamente gioito della mia vocazione e mi ha accompagnata fino alla soglia della mia nuova casa, offrendo per il nostro inizio tanta parte della sua sofferenza. Il 24 novembre 2007 è rinata in cielo e da lì continua ad essermi sempre più vicina.

Da sinistra, suor Ester, originaria di Milano, e suor Mariagrazia, nata in provincia di Varese, nel giorno dei loro voti temporanei nel 2010. 

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