«Maria vedeva in ogni cosa un dono dell’Altissimo…». Meditazione sul primo mistero del Rosario

Maria vedeva in ogni cosa un dono dell’Altissimo. Le piacevano i prati fioriti e i campi di grano, le pianure e le colline. In primavera ammirava le rondini saettare nel cielo. Nei pomeriggi assolati, mentre aiutava la mamma in cucina, ascoltava il concerto delle cicale. Come le piaceva guardare le fronde delle palme danzare nel vento! Com’era grata per l’acqua fresca del pozzo e per il profumo del pane appena sfornato!

Suo padre, Gioacchino, era tutto per lei. Come gioiva quando lui l’abbracciava e l’inondava di baci. Alla sera, alla luce della lampada, non avrebbe mai smesso di guardarlo. Gioacchino aveva introdotto la figlia alla recita dei salmi e all’ascolto della parola di Iahvé. La vergine aveva imparato a memoria i passi più importanti della Sacra Scrittura. Gioiva nell’ascoltare le grandi opere che Dio aveva fatto per il suo popolo e attendeva, come tutti i veri Israeliti, la venuta del Messia promesso. Sua madre la scorgeva, talvolta, affacciata alla finestra, come se di continuo aspettasse qualcosa.

Maria pregava in ginocchio nel segreto della sua camera e, con lo stesso cuore, preparava da mangiare, andava a fare la spesa, puliva la casa. Aiutava il prossimo, come se stesse servendo Dio. Com’era felice quando la mamma le chiedeva di curare le cuginette! Inventava giochi sempre nuovi.

Col passare degli anni, crebbe in lei, sempre più pressante, il desiderio di donare tutta la sua vita a Dio. La sua preghiera esprimeva il suo anelito a essere disponibile per qualunque cosa l’Altissimo le avesse chiesto. Voleva essere tutta di Dio, ma nel suo popolo l’unica forma di vocazione era il matrimonio. L’Altissimo le aveva suggerito di sposare Giuseppe. Forse, lui che era così giusto, avrebbe intuito cosa custodiva il suo cuore immacolato. Maria era completamente affidata a Dio, ma anche inquieta perché non riusciva a immaginare come si sarebbe potuto realizzare pienamente il suo desiderio.

 

 

Uno spettacolo sublime

Una mattina stava riassettando la camera. Gioacchino e Anna erano andati a trovare un parente. D’improvviso, le apparve l’angelo Gabriele, vestito di bianco e circonfuso di luce. Aveva il volto di un bambino, i capelli lunghi e ondulati, ma parlava con l’autorevolezza di un patriarca. Maria cadde in ginocchio spaventata. Non aveva mai visto uno spettacolo così sublime. Eppure l’angelo non le era estraneo. Ogni giorno si rivolgeva alle creature celesti e le ringraziava perché la proteggevano dal male. Quante volte l’Altissimo aveva mandato i suoi angeli a custodirla nel cammino. Sulle loro mani l’avevano portata, perché non inciampasse nella pietra il suo piede.

Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto (Lc 1, 26-29). Maria era sempre stata piena di grazia, aveva vissuto ogni istante della sua vita in armonia con Dio. La sua mente non era mai stata attraversata da un pensiero impuro o iroso. Mai un moto di orgoglio l’aveva sfiorata. Dalla sua bocca uscivano solo parole buone. Del resto parlava pochissimo, sempre stupita com’era dei doni di cui l’Altissimo la ricolmava!

Quando vedeva gli uomini peccare, ne rimaneva profondamente ferita. Si turava gli orecchi per non udire fatti di sangue, chiudeva gli occhi per non vedere il male. Pregava incessantemente per la conversione dei peccatori. Perché sceglievano il male che arreca tristezza e non il bene che riempie di gioia? Questo era un mistero che l’Altissimo non le aveva ancora dischiuso. Il male non esercitava su di lei nessun tipo di fascino. Il diavolo non trovava niente nell’anima di Maria a cui appigliarsi per tentarla. Allora la accusava: «Non sei buona a nulla!». Questi suggerimenti del maligno erano per Maria un’occasione in più per affidarsi a Dio. Maria non smetteva di pregare e il demonio era costretto a fuggire.

Maria considerava una cosa normale obbedire a Dio in ogni istante. Tuttavia, la beata vergine non aveva mai riflettuto sul suo essere senza peccato. Ora, sentirsi descritta dall’angelo come piena di grazia, la turbò. Possedeva qualcosa di speciale che non avessero anche le sue sorelle e le sue amiche? Lei si era sempre considerata l’ultima del suo popolo. Che senso potevano avere le parole dell’angelo? Gabriele si accorse del turbamento di Maria e le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 30-33). L’angelo le disse di non temere: essere piena di grazia era un dono di Dio, che non dipendeva dalla sua volontà o dai suoi sforzi, ma da Dio che usa misericordia. Questo dono le era stato fatto in vista della sua speciale missione: avrebbe dovuto partorire il Figlio dell’Altissimo.

 

 

Un compimento imprevedibile

Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo» (Lc 1, 34). Maria non aveva nessun dubbio su quanto l’angelo le aveva promesso, ma non riusciva a immaginare come ciò si sarebbe potuto avverare. Non era ancora sposata e Dio le aveva suggerito il desiderio di rimanere vergine. Tuttavia, sapeva che Dio era infinitamente più grande della sua mente e poteva realizzare ciò che voleva. Maria non aveva più paura. In pochi attimi, una profonda familiarità si era istaurata tra lei e l’angelo. Quest’ultimo le rispose che avrebbe concepito per opera dello Spirito Santo. Sarebbe dunque divenuta madre di un Dio. A quelle parole, l’anima di Maria fu inondata di gioia. Tutti i suoi desideri trovavano un compimento imprevedibile e misterioso. Sarebbe diventata madre senza venir meno al suo desiderio di essere, nell’anima e nel corpo, tutta di Dio.

Un nuovo interrogativo sorse nel cuore di Maria: si domandava con chi avrebbe potuto condividere la sua gioia. Chi mai le avrebbe creduto? L’angelo, conoscendo i suoi pensieri, le indicò Elisabetta. Anche in lei aveva operato misteriosamente la potenza dell’Altissimo. Il suo grembo, ormai sterile, custodiva una nuova vita che presto sarebbe nata. A quelle parole, la gioia di Maria fu piena. Non sarebbe stata sola nel portare un mistero così grande! Che grande mistero quello della verginità! Nessuno di noi può creare la vita, essa è un puro dono di Dio. Noi possiamo però accogliere i figli che il Padre ci dona. Se, talvolta, ci sembra di essere sterili, guardiamoci intorno, molti aspettano uno sguardo materno che li accolga. Domandiamo al Signore della vita il dono della fecondità. Egli non tarderà ad adempiere le sue promesse.

Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei (Lc 1, 38). Maria era piena di gioia. La potenza e la sapienza di Dio iniziò a crescere, come un seme piccolissimo, nel suo grembo. Solo lei conosceva quel segreto enorme. Colui che nessuno può contenere, ora dipendeva in tutto da lei. Non decideva più dove andare, ma si faceva portare in giro per il mondo da lei. Colui da cui tutto dipendeva, aveva bisogno della sua carne per poter nascere e vivere tra noi. Maria si commuoveva al pensiero della discrezione di Dio. Colui che tutto ha creato senza bisogno di nessuno, non aveva voluto farsi uomo senza aspettare il suo assenso.
gianluca attanasio

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