Mons. Camisasca ricorda a preti e laici l’importanza del sacramento della confessione.

Molti preti sembrano non avere più tempo per la confessione. Forse per confessarsi. Certamente per confessare. È questa una grave ferita che colpisce tutto il popolo cristiano.

Perché i preti non trovano il tempo per sedere in confessionale? Perché sono premuti da molte occupazioni: i malati, i giovani, i vecchi, la catechesi, le celebrazioni liturgiche, i consigli pastorali, le riunioni di zona, i convegni, gli incontri. Se non è aiutato da qualche fratello o padre che gli è accanto nel ministero, il sacerdote rischia di perdere il discernimento delle vere priorità: la salvezza viene da Dio, noi preti siamo soltanto amministratori di una grazia che ci è consegnata.

Sedere in confessionale ci fa scoprire ciò di cui abbiamo bisogno: il perdono di Dio, la dolcezza del ritorno a lui, la grazia dell’essere nuovi, come il primo giorno. Solo così diventiamo apostoli. Non per dovere, non per attivismo, ma per una grazia ricevuta.

Cominciare a confessarsi e dare tempo a confessare dà ordine alla vita, alla giornata, fa riscoprire le priorità autentiche nel ministero sacerdotale. Il sacramento della penitenza, assieme alla celebrazione eucaristica, diventa così l’asse di ogni missione sacerdotale, l’asse verticale che permette ogni slancio orizzontale verso i fratelli.

I laici devono aiutare i loro preti a riscoprire la confessione, devono chiedere che questo sacramento sia accessibile e sia celebrato con dignità, non come si fosse dallo psicologo o in un tribunale, ma come la festa del ritorno, l’incontro con Cristo che ci attrae nella sua vicenda personale di morte e resurrezione.

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