Ho scoperto il senso del gesto della caritativa nell’esperienza vissuta durante il mio primo anno di seminario, quando ogni sabato ero mandato a trascorrere l’intero pomeriggio con i piccoli malati dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù in centro a Roma. Negli anni precedenti avevo vissuto la caritativa come esperienza occasionale, legata principalmente ad alcuni momenti e luoghi per me più significativi, come il Banco alimentare, i banchi di solidarietà, il Banco farmaceutico. In seminario la caritativa mi è stata invece proposta come decisiva per la mia vita e per la mia vocazione.
Andando per la prima volta al Bambin Gesù, ho avvertito la fatica di stare davanti al dolore di un bambino che soffre e dei suoi genitori che soffrono con lui. Mi ha messo un po’ a disagio la “corazza” con la quale gli operatori sanitari riescono a lavorare e a convivere con tanto dramma. Insomma: il sabato era un giorno che temevo. Il venerdì avevo già pensieri che non mi lasciavano sereno e il sabato mattina il mal di stomaco. Arrivavo al Bambin Gesù e speravo che tutto passasse presto. Camminando nel corridoio, mi auguravo sempre di finire in qualche stanza con bambini senza grandi drammi, davanti ai quali fossi capace di stare.
Nel tragitto in pulmino da casa all’ospedale, leggevo insieme agli altri seminaristi Il senso della caritativa. In questo testo don Giussani scrive: «La legge dell’essere è la carità, l’amore». Sono rimasto segnato da quelle parole, ho desiderato comprenderle a fondo. Nella preghiera ho chiesto a Dio di poter imparare questa carità, di poter essere più certo della compagnia di Cristo, di poter vivere un’immedesimazione a Lui. Ho poi guardato ai miei fratelli in azione, al modo in cui stavano davanti ai bambini e ai genitori e a come preparavamo i canti e le preghiere per il momento comune nel corridoio, al termine di ogni giornata, con tutti coloro che volessero partecipare (all’inizio gli infermieri e i dottori ne erano un po’ infastiditi, ma alla fine dell’anno cantavano e pregavano con noi).
Non portavo nulla a quei bambini e a quelle famiglie se non quel poco che valgo, un sorriso, una parola, una preghiera. Ma ho scoperto che in quelle stanze Cristo ci abbraccia. Lì sperimentiamo tutto il suo amore per la nostra vita e la nostra vocazione.
Una volta sono entrato in una stanza e mi sono trovato davanti una giovane coppia molto bella: lei dottoressa, lui avvocato. La loro prima bimba, M., profondamente ferita nel corpo, con problemi irrisolvibili. I genitori, credenti ma profondamente scossi, provati da questa realtà inaccettabile eppure entrata nella loro vita, con gli occhi pieni di lacrime ci chiedevano un aiuto: come affrontare questa prova? Li abbiamo consolati, siamo stati con loro quindici minuti, poi li abbiamo salutati: dovevamo preparare il gesto del corridoio. Io ero scosso, per nulla tranquillo: quanto avevo visto mi tormentava continuamente. Poi alla fine mi ha preso un impeto, ho messo le mani in tasca, ho preso il rosario proveniente dalla Terra Santa a cui tenevo molto perché me lo aveva regalato il nostro don Matteo. Sono entrato in camera, ho abbracciato quella mamma e le ho detto: «Non posso risolvere il tuo dramma, aiutare M., ma qui trovi la forza, la consolazione, l’abbraccio che fascia e cura le tue ferite». Le ho regalato il mio rosario. E sono uscito.
Nella foto, un momento di canti nei corridoi dell’Ospedale Pedriatico Bambin Gesù, a Roma.