La scoperta di una preghiera ormai dimenticata e lo sguardo rivolto al dono della vocazione: due armi per portare a Vienna la novità che tutto il mondo aspetta

Al mio rientro a Vienna dopo la mia ordinazione sacerdotale (avvenuta nel giugno scorso), alcune persone mi hanno chiesto, forse con un po’ di scetticismo, se mi sentissi diverso. Io ho risposto sempre di sì, di getto, ma il passare del tempo mi ha dato l’occasione per riflettere su che cosa vedo cambiato in me.

Alcuni anni fa, facendo catechismo ai bambini delle elementari, mi sono imbattuto in una preghiera che poi ho cominciato a recitare ogni mattina anch’io. La trovavo molto essenziale e concreta. Comincia così: «Ti adoro mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, conservato in questa notte…». Pian piano questa semplice e antica preghiera è diventata per me un richiamo, quasi una sfida. Amo con tutto il cuore Colui che mi ha chiamato? Per che cosa sono grato, che cosa mi fa contento? Sono più soddisfatto per il successo di una predica e per la simpatia della gente per me, oppure per essere stato voluto e chiamato da Lui? Proprio su questo punto l’ordinazione sacerdotale ha detto una parola decisiva, per quanto io non ne sia sempre cosciente.

Il momento più commovente della cerimonia di ordinazione è stato quello dell’imposizione delle mani. Dopo don Massimo sono passati da ciascuno di noi ordinandi tanti sacerdoti che erano presenti. Tra loro i miei amici preti che mi hanno cresciuto e aiutato quando ero ragazzo, a cominciare dall’infanzia, fino ai confratelli della Fraternità. Attraverso la loro presenza e le loro mani era come se io ricevessi nuovamente l’affetto e la grazia di tutte quelle tante amicizie che mi avevano portato fin lì.

Quanti sono i pensieri di Dio per me! «Se volessi contarli, sono più della sabbia», dice il salmo (Sal 139,18). Dio si è fatto carne per me attraverso tanti volti, in modo sempre nuovo. In quel momento è diventato così evidente, che non potevo più obiettare niente. Ora, quando al mattino, seguendo il suggerimento di un prete anziano, dico: «…ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, chiamato al sacerdozio», penso agli amici e ai maestri attraverso cui questo è successo e continua ad accadere. Penso all’immeritata e paziente opera di Dio in me, che mi ha portato sino ad essere Suo sacerdote. C’è qualcos’altro di cui essere più grati?

La pazienza di Dio per me è la fonte della pazienza che ora imparo a esercitare io, nello studio di una lingua affascinante e difficile come il tedesco e nel donarmi alle persone che ho trovato qua, senza pretendere che tutto cambi subito o che le persone che incontro abbiano la mia stessa mentalità. È la pazienza di un nuovo inizio, nascosto come quello di Betlemme.

Quando scendo nella cantina sotto la chiesa, dove i giovani si ritrovano a bere e chiacchierare, penso: «Fa’, Signore, che questi ragazzi, stando con me, possano pian piano incontrare Te».

 

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