“Non voglio crescere”. Una psicologa cilena afferma che il sentimento della vita che hanno i giovani è espresso da questa frase: “non vogliamo crescere”. Ho chiesto ai miei alunni di prima superiore che cosa ne pensassero. Tutti hanno dato ragione alla psicologa, spiegando che non vogliono crescere non tanto per non assumere le responsabilità che caratterizzano la vita adulta, quanto piuttosto perché non desiderano diventare opachi come gli adulti che li circondano. In quel momento c’ero io davanti a loro: immaginate quanto mi sentissi sfidato! “Tante volte gli adulti ci rimproverano di essere indifferenti, ma c’è qualcuno capace di mostrarci una differenza, qualcosa per cui valga la pena spendersi?”, era l’interrogativo che si scorgeva dietro le loro osservazioni.
Quel giorno ho raccontato loro di Chiara Corbella. E ho compreso la potenza della frase che ha dato il tema a Encuentro Santiago: Testimoni di bellezza. Solo l’incontro con persone all’altezza del desiderio più nobile del cuore è promessa capace di mostrare che la vita adulta non è il luogo in cui rassegnarsi all’opacità. Crescere non è essere condannati all’amara malinconia di Jep, il protagonista de La grande bellezza, che si sente tradito dalla vita (“Ho cercato la Grande Bellezza, ma non l’ho incontrata”) e ha dovuto rassegnarsi a piccoli, fugaci bagliori di bellezza.
Anche in questi giorni, quante volte siamo stati attratti dalla Grande Bellezza, cioè da Gesù! La Grande Bellezza è venuta a cercarci e lo fa continuamente attraverso una storia concreta: volti che sono come delle finestre che lasciano trasparire la luce della resurrezione.
Due immagini possono aiutarci ad entrare nel “dinamismo” della Grande Bellezza. La prima riguarda Gaudí. L’architetto della Sagrada Familia di Barcellona sapeva che sarebbe stata un’opera tanto grande che non avrebbe potuto terminarla. Così prese una decisione inusuale. Invece di costruire le fondamenta di tutta l’opera, scelse di edificare solo una parte: una facciata che, all’epoca della sua morte, si ergeva bellissima, circondata da fango e materiali di costruzione. Perché questa decisione? Perché la sua bellezza rendesse impossibile abbandonare l’opera.
La bellezza che abbiamo incontrato attraverso la nostra compagnia promette di abbracciare tutto il cantiere che è la vita, in tutte le sue dimensioni, fatica e dolore compresi. Questa bellezza ci sfida: “Fammi entrare dentro gli ambiti della tua vita e sperimenterai una intensità cento volte più grande”.
La seconda immagine riguarda sempre la Sagrada Familia. Vi lavora oggi anche lo scultore Etsuro Sotoo che, su una delle facciate, ha scolpito un angelo di tre metri che suona l’arpa. Però Etsuro non ha messo le corde all’arpa. Perché? Perché le corde devo metterle io. Questa è la chiamata della Bellezza: mi si dona ma mi “invoca”, cioè non mi lascia nella posizione dello spettatore. In essa c’è preparato un luogo che è solamente mio: senza di me, le manca qualcosa di necessario.
Da dieci anni sono in Cile e sento questo verissimo per me. Ultimamente dico spesso che vivo nel luogo più bello del mondo: questa è casa mia anzitutto perché è il luogo della Sua fedeltà, in cui Lui si è donato e si dona a me. Questo è il luogo che mi ha affidato perché io lo custodisca e lo faccia fiorire. Quanta bellezza ho visto, quanti miracoli! Però è anche il luogo in cui Lui mi si è affidato, ha consegnato la Sua presenza a me, mi ha chiesto di prestargli la mia persona per farsi presente. Che onore poter rispondere alla Bellezza che mi invoca, che mi pone in un piccolo angolo dell’universo, me lo affida e mi si affida! Che onore poter essere parte della sua opera!