Da qualche tempo mi è stato chiesto di dedicare una parte rilevante del mio tempo e della mia energia all’accompagnamento di giovani universitari. È stato un regalo inaspettato, non privo da parte mia di un certo timore iniziale e di un senso continuo di sproporzione. La tappa universitaria, infatti, è un momento delicatissimo nel quale le grandi domande della vita sono chiamate a trovare risposte definitive che possano diventare solide radici per la vita adulta.
Il principale incarico è la cura degli universitari del movimento di Comunione e liberazione, che sono sparsi in vari punti della Spagna, comprese le isole. Oltre alle comunità grandi e ben organizzate, c’è anche un importante numero di ragazzi che formano piccoli gruppi di universitari in città marginali. Viaggiare per andare a trovarli è l’incarico che preferisco: quanto stupore quando vedono qualcuno disposto a viaggiare centinaia di chilometri solo per stare qualche ora con cinque o sei ventenni per sostenere la loro fede e il loro cammino! Spesso penso alla cura e alla dedizione silenziosa che tanti educatori hanno avuto per me: se ho potuto scoprire la bellezza della vita cristiana, lo devo proprio alla loro passione educativa, al desiderio che avevano di accompagnarmi dando tutte le energie. In fondo, il cristianesimo è proprio questa passione incontenibile per il destino di ogni persona.
Il cristianesimo è proprio questa passione incontenibile per il destino di ogni persona
Lo vedo chiaramente anche all’università statale di Fuenlabrada, nella quale studiano circa ottomila ragazzi. Il vescovo della nostra diocesi mi ha chiesto di occuparmi in modo speciale di questo moderno campus universitario. L’impatto della pandemia ha segnato un punto di non ritorno: l’insegnamento online o misto è ormai la regola. Eppure questo non mi ha impedito, in questi due anni, di vedere il Signore all’opera con quella creatività unica che lo contraddistingue.
Mi è capitato di stabilire rapporti con persone molto lontane dalla fede o totalmente contrarie, che mi fermano per i giardini o in mensa, dove i miei vestiti neri suscitano comprensibilmente molti sguardi curiosi ogni volta che entro. Non mi sono ancora abituato alla sensazione di avere improvvisamente trecento sguardi fissi su di me e di ascoltare il bisbiglio “guarda, c’è un prete!”.
Che senso ha la mia presenza in una università statale nella relativista e laicissima Spagna? Si tratta veramente di una goccia nell’oceano, così come esiguo è il numero delle persone che assistono alla messa. Eppure io sono lì per ciascuno di loro, per i professori e gli alunni, per i giardinieri e gli incaricati del bar, per i bidelli e per le guardie giurate. Spesso un sorriso, una parola, una timida richiesta di preghiera sono l’ultimo baluardo di un’umanità in cerca di compagnia.
Fra i tantissimi incontri, porto nel cuore quello con Jorge, un ragazzo che veniva da lontano, in tutti i sensi. Vedendomi in un corridoio vicino alla segreteria si avvicinò per parlare e, con il passare del tempo, trovò la compagnia che stava cercando. Si riavvicinò ai sacramenti e cominciò a venire in mensa agli incontri con gli altri studenti. Iniziò un bellissimo cammino di fede con la sua giovane fidanzata, non esente da fatiche per la riscoperta di una fede esigente, che gli stava chiedendo un cuore indiviso. Un giorno mi comunicò inaspettatamente che di lì a poco sarebbe tornato al suo paese: doveva interrompere gli studi universitari per un serio problema famigliare. Sentii una grande impotenza, perché reputavo la sua appartenenza alla Chiesa ancora molto fragile. Per mesi non ho saputo niente di lui, fin quando non mi arrivò una sua e-mail che mi comunicava che aveva allacciato rapporti con la sua parrocchia d’origine e stava camminando spedito verso la scoperta che la sua vita è voluta e amata dall’eternità. Era grato per il tempo che gli avevo dedicato.
L’incontro con Jorge – fugace, come spesso accade, perché l’università è un luogo che richiede molta flessibilità – è uno dei tanti piccoli regali che mi confermano nel desiderio di dare la mia vita perché Cristo sia conosciuto. Nella mia missione imparo che l’importante non è il tempo o i frutti che posso vedere, ma la gratuità che imparo, di cui sono oggetto e che tento di vivere con ogni persona che incontro.