Michael Carvill, missionario a Denver (Usa), racconta di don Giussani e di ciò che continuiamo a scoprire di lui

Non ho mai dimenticato lo sguardo di don Giussani. Lo incontrai per la prima volta in modo inaspettato e imprevedibile nel 1985. Vivevo a Bruxelles, ma durante un viaggio d’affari a Milano accettai un invito di alcuni amici.
In quegli anni ero a disagio nel mondo, inconsciamente alla ricerca di uno sguardo totalmente determinato da Cristo. Ma il modo in cui lui era presente mi colpì subito. E poi i suoi occhi. Era impossibile non percepire uno sguardo totalmente per me. Guardato in quel modo mi sono sentito allo stesso tempo povero e grande, oggetto di una stima gratuita. In un attimo era diventato l’amico più grande della mia vita.
A un certo punto della discussione, mi chiese a bruciapelo: «Puoi venire a vivere a Milano?». Un invito inimmaginabile solo quindici minuti prima, ma in quel momento palesemente ragionevole. Quell’incontro era ciò che la mia vita stava aspettando e richiedeva una risposta totale.
Non andai a Milano come mi aveva chiesto. Otto mesi dopo però entrai, sotto la sua guida, nel seminario della nascente San Carlo. E dopo tanti anni rivedo in quello sguardo tutto il significato della missione.

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