La missione non ha età

Nella bassa padana, una casa di ultrasettantenni ci ricorda che la vocazione non va in pensione.

Bonicalzi Da Fb
Sandro Bonicalzi davanti la Chiesa di Sant’Eusebio all’Esquilino (Roma), dove è stato parroco per oltre 10 anni.

IMOLA (Italia) Non sono troppi tre preti a Linaro, un paese che non arriva a 3.000 abitanti? “Abitate insieme?”, “Siete amici?”, “Come mai avete scelto Imola?”. Sono le domande ricorrenti in questo anno trascorso nella terra di confine tra Emilia e Romagna. Abbiamo cercato di raccontare le circostanze che ci hanno portato a vivere a Linaro, una frazione di campagna, in una canonica attaccata alla chiesa poco distante dal centro città. La maggior parte dei preti, dei parrocchiani, dei numerosi ciellini di questa diocesi hanno capito le nostre risposte e sono apparsi soddisfatti. Noi no. Più ci affannavamo a spiegare e più capivamo che le circostanze non bastano a comprendere la nostra scelta, e soprattutto a viverla. 

Che cosa ci spinge allora, alla nostra età – siamo tre ultrasettantenni -, ad iniziare una “casa nuova”, in un contesto diverso da quelli noti, con persone per lo più sconosciute? Può sembrare scontato, ma l’unica risposta che convince è: la fede, l’unica cosa necessaria per vivere. La fede in Gesù Cristo, in quella forma che ci ha affascinato per tutta la vita: l’incontro con don Giussani negli anni ’50 e ‘60, il movimento di Comunione e liberazione e il dono della Fraternità san Carlo. E poi, la testimonianza di una vita comune che ci rende disponibili alle richieste dei sacerdoti della diocesi, una rinnovata amicizia con il vescovo, mons. Mosciatti, che avevamo incontrato già negli anni ’70, l’apertura al Movimento locale. Infine, questa parrocchia di campagna con una storia secolare: ecco le nostre occupazioni quotidiane da “pensionati”.

Dentro queste attività, ho scoperto l’urgenza che il mio ministero sacerdotale esprima in modo potente una vera paternità, l’offerta di una compagnia semplice, ma certa e grata. Tante volte ne abbiamo parlato, l’abbiamo sperimentata, vedendo come don Giussani faceva compagnia a noi. Tante volte don Massimo ci ha richiamato a questo nel corso degli anni. Oggi è la nuova sfida per noi, resa ancora più urgente dalla mentalità del tempo e delle circostanze che viviamo quotidianamente. Alcune circostanze mi hanno confermato in questa domanda. 

Tutti domandano di sperimentare una compagnia semplice, certa e grata

Un giorno, mentre passeggiavo nei pressi della chiesa, incontro una persona anziana che avevo già visto, ma sempre di sfuggita. Si ferma e incomincia a raccontarmi che è stato un esponente importante del partito comunista locale. Mi dice che, nonostante la sua lontananza dalla Chiesa per un’esperienza negativa avuta col parroco dell’epoca, ha sempre favorito la ricostruzione di chiese danneggiate durante la II guerra mondiale. In questa zona, infatti, passava la Linea Gotica. Poi riassume gli incontri con i parroci, descrivendo comunque un rispetto e una stima. Ci siamo lasciati con un arrivederci. Non so cosa l’incontro abbia significato per lui, ma io ho percepito un grande desiderio di pacificazione che mi ha interpellato. Cosa posso fare per lui? Ascoltarlo non basta: ho cominciato ad affidarlo al buon Dio, nella preghiera e nella messa. Ho avuto poi occasione di incontrare, nelle numerose opere di carità sorte nell’ambito del Movimento nell’imolese e nell’ospedale di Montecatone – una eccellenza della riabilitazione -, molte persone che esprimevano la stessa domanda di quell’anziano in situazioni diverse ma sempre drammatiche. 

Trascorro la maggior parte del tempo incontrando persone così o amici di varie parrocchie, del Movimento che, con vite apparentemente normali, mi chiedono di essere accompagnati dentro realtà personali o familiari particolari. A volte il rapporto si conclude con la domanda della confessione, altre, semplicemente con la richiesta di una preghiera. Tutti però domandano di sperimentare la bellezza di una compagnia semplice, certa e grata.

Mi vengono in mente le parole di Gesù: Il mio giogo è dolce il mio peso è leggero (Mt. 11,30). È ciò che mi è chiesto per vivere oggi la fede in Cristo, nella mia vita da prete di una certa età.

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