“E adesso?”. Ogni uomo si è posto questa domanda almeno una volta nella vita. Anche Camillo, il giovane cileno che provoca i suoi compagni a non ridurre le proprie domande, per sperare in Colui che solo può rispondere.

Durante un incontro di preparazione alla cresima, Camillo raccontava della sua passione per il teatro. Dei mesi passati a provare l’opera di cui sarebbe stato il protagonista principale. Del grande impegno profuso e della trepidazione che cresce con l’avvicinarsi del giorno della prima. E poi, finalmente in scena. Centinaia di persone lo applaudono entusiaste. È sulla cima. Gli sembra di toccare il cielo.
Tuttavia torna a casa e, di colpo, senza volerlo, senza che lui lo potesse controllare, si affaccia come una voce che lui avrebbe voluto che tacesse: «Tutto qui? E adesso?». Sembra ricadere bruscamente a terra dall’altezza vertiginosa che aveva raggiunto.
Allora ho lanciato una provocazione: «Perché farsi questa domanda se la riuscita è stata totale? Per me Camillo ha qualche problema. Forse dovrebbe farsi controllare, mi sembra che abbia qualche rotella fuori posto». I ragazzi pensavano che stessi parlando sul serio. Davano così i loro consigli a Camillo: «Perché sei tornato a casa?», «Dovevi prolungare l’ebbrezza del successo finché potevi», «Dovevi subito proporti un’altra meta», «Sì, così quella domanda non si sarebbe insinuata».
E invece era proprio Camillo ad avere ragione. Nell’intenso dialogo che è seguito – in cui ho chiarito che la mia era una boutade – insieme a Camillo abbiamo scoperto che noi siamo ancora più grandi di ciò che immaginiamo. Che la parte più intima di noi stessi, il cuore, non è sotto il nostro controllo. Che solo qualcosa di imprevedibile, di non manipolabile, può colmare la sua vastissima “capacità”.
Allora questo “e adesso?”, da cui normalmente cerchiamo di scappare, diventa la cosa più preziosa che abbiamo. Perché ci ricorda che ciò che può riempire di speranza la vita non è nemmeno raggiungere la meta più nobile (“spero che”), ma solo il rapporto con (“spero in”) Colui che ha fatto il nostro cuore e ne conosce la vera misura.

 

Nella foto, Marco Aleo con alcuni ragazzi della parrocchia Pedro Bonilli.

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