Cari fratelli e sorelle,
ringraziamo il Signore che ci permette ancora una volta di celebrare assieme questa Messa di suffragio in commemorazione di don Giussani nel 16° anniversario dalla sua morte. Egli è salito al cielo nel giorno in cui si festeggia la Cattedra di san Pietro, cioè il fondamento della comunione universale della Chiesa. È una celebrazione molto antica, che risale al III secolo. In realtà, storicamente, vi sono due cattedre dell’apostolo Pietro: una ad Antiochia, prima del suo arrivo a Roma, e l’altra nella città capitolina, luogo del suo martirio. Queste due sedi del ministero petrino erano ricordate nei calendari liturgici il 18 gennaio (Roma) e il 22 febbraio (Antiochia). Con la riforma del calendario le due celebrazioni sono confluite nell’unica festa di oggi, giorno in cui tra l’altro – come ci ricorda il Martirologio – «i Romani erano soliti fare memoria dei loro defunti».
Perché ricordo tutto questo? Nulla accade per puro caso e, proprio come ci ha insegnato don Giussani, occorre sempre partire dal suggerimento che la realtà veicola, mettendolo in relazione con le domande del nostro cuore. La nascita al cielo di don Giussani nel giorno della Cattedra di san Pietro ci obbliga a mettere in relazione la sua figura con il significato di questa festa, è come un’indicazione che ci propone una prospettiva privilegiata da cui guardare al suo insegnamento. Non mi riferisco solo all’amore e all’attenzione con cui don Giussani ci ha educato a guardare al papa e al suo magistero. Nella festa odierna, infatti, c’è qualcosa di più profondo e sostanziale, da cui lo stesso primato petrino trae il suo significato. È la celebrazione dell’unità della Chiesa quale prima e fondamentale espressione della comunione che essa vive ed è. È il riconoscimento che la ricchezza dei carismi che suscitano ed edificano la Chiesa ha un unico fondamento e un unico scopo. San Pietro, nella sua prima lettera, sintetizza questa tensione all’unità esortando a mettere il carisma ricevuto al servizio gli uni degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio (1Pt 4,10).
Il rapporto tra carisma e istituzione, su cui stiamo lavorando nella scuola di comunità di queste settimane, è al centro di un importante documento della Congregazione della Dottrina della Fede del 2017, Iuvenescit Ecclesia che consiglio a tutti di leggere. In questo documento si parla di «armonica connessione e complementarietà»[1] tra carisma e istituzione. «La relazione tra i doni carismatici e la struttura sacramentale ecclesiale – leggiamo – conferma la coessenzialità tra doni gerarchici – di per sé stabili, permanenti ed irrevocabili – e doni carismatici […]. La dimensione carismatica non può mai mancare alla vita ed alla missione della Chiesa»[2]. Si sottolinea inoltre che carisma e istituzione, doni gerarchici e doni carismatici «hanno la stessa origine e lo stesso scopo. Sono doni di Dio, dello Spirito Santo, di Cristo, dati per contribuire, in modi diversi, all’edificazione della Chiesa»[3].
Penso che questo documento – che recepisce il lungo e non sempre lineare cammino percorso dalla Chiesa negli ultimi decenni, in dialogo con i movimenti – rappresenti un punto di coscienza ecclesiale molto importante. In realtà molto era stato già detto, soprattutto sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, ma la ricezione da parte della Chiesa di tutto ciò era ancora molto acerba. Anche oggi, per molti versi, le nostre comunità, le nostre parrocchie e soprattutto le strade della nostra pastorale, oppongono una certa resistenza al cammino di conversione e rinnovamento che questo documento invita a percorrere.
Scrive don Giussani: «Per sua natura ogni carisma, in forza della sua identità specifica, è aperto al riconoscimento di tutti gli altri carismi. […] La riprova che un carisma è vero è che apre a tutto, non chiude […] introduce alla totalità del dogma»[4]. Questa apertura umile e cordiale, che è il frutto più evidente dell’appartenenza ad un carisma particolare, è per tutti noi un cammino affascinante e sempre nuovo dentro la multiforme bellezza della Chiesa. «Ognuno ha la responsabilità del carisma incontrato. Ognuno è causa di declino o incremento del carisma»[5].
Conversione è tornare a volgere il nostro sguardo fuori di noi, a Colui che è presente nella storia di comunione nella quale ci ha coinvolti.
Cari amici,
la prima e fondamentale strada per vivere questa responsabilità è la conversione dei nostri cuori, a cui il cammino della Quaresima ci invita. Conversione significa rispondere alla domanda che Gesù rivolge ai suoi apostoli nel vangelo che abbiamo ascoltato: Ma voi, chi dite che io sia? Significa entrare nell’esperienza di fede di Simon Pietro che a nome di tutti risponde: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Tu sei tutto per me! Conversione è tornare a volgere il nostro sguardo fuori di noi, a Colui che è presente nella storia di comunione nella quale ci ha coinvolti, significa che «ognuno, in ogni suo atto, in ogni sua giornata, in ogni suo immaginare, in ogni suo proposito, in ogni suo agire, deve preoccuparsi di paragonare i suoi criteri con l’immagine del carisma come è emerso alle origini della storia comune»[6]. Tutta la nostra storia nasce dallo stupore di don Giussani di fronte al mistero di Dio che per noi si fa uomo ed è «presente in un ‘segno’ di concordia, di comunione, di comunità, di unità di popolo»[7].
All’inizio di questa Quaresima chiediamo alla Madonna la grazia di rinnamorarci di Cristo e della sua Chiesa, di vivere questo «segno di concordia», curando e servendo la comunione tra noi con umiltà e creatività, al servizio di tutti gli uomini e le donne del mondo.
Amen.
Omelia nella Messa per don Giussani nella festa della Cattedra di san Pietro
Cattedrale di Reggio Emilia, 22 febbraio 2021
[1] Congregazione per la Dottrina della Fede, Iuvenescit Ecclesia, n. 7.
[2] Ivi, n. 13.
[3] Ivi, n. 8.
[4] L. Giussani – S. Alberto – J. Prades, Generare tracce nella storia del mondo, Rizzoli, Milano 1998, 109.
[5] Ib., 113.
[6] Ib., 114.
[7] Ib., 113.