In questi giorni un nuovo gruppo di nostri giovani fratelli arriva all’ordinazione diaconale e sacerdotale. Guardandoli, pronti a partire per la loro missione, mi passano davanti agli occhi le città e le strade che li aspettano. La loro vita si svolgerà a servizio di Dio e della Chiesa, in paesi lontani, a contatto con uomini e donne che ancora non conoscono. Penso ai cortili e alle case in cui entreranno, ai volti di chi aprirà loro la porta. All’interno troveranno bambini e ragazzi da invitare, anziani a cui portare la comunione, malati da ungere con l’olio santo. Penso a quante volte diranno: Io ti assolvo dai tuoi peccati, portando consolazione a chi è oppresso dal proprio male; e a quante volte ripeteranno nella messa: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue.
Quasi tutti i giorni della loro vita parleranno con qualcuno in cerca di consiglio: un giovane che deve prendere una decisione importante, una coppia che si prepara a sposarsi o che non trova le ragioni per farlo, una mamma o un papà preoccupati per i figli. Le parole che diranno potranno rimanere come punti di luce nella vita di tanti, terranno loro compagnia. Ci sarà anche chi chiederà loro conto dell’insegnamento della Chiesa, chi cercherà di provocarli, chi li irriderà. Ogni incontro darà loro occasione di riprendere coscienza della bellezza di ciò in cui credono. Ogni volta potranno di nuovo testimoniare che vivere per Cristo vale la pena.
Dio non ha fatto della santità dei suoi preti una condizione per l’efficacia del sacerdozio, ma continua a servirsi di uomini fragili e fallibili per comunicare la sua presenza.
Il loro compito non sarà sempre facile. Mentre li guardo, penso ai momenti duri che potranno attraversare, agli errori che commetteranno. Le loro infedeltà, piccole o grandi, potranno purtroppo ostacolare il cammino delle persone loro affidate. Ed è proprio questo il pensiero che torna sempre a stupirmi: Dio non ha fatto della santità dei suoi preti una condizione per l’efficacia del sacerdozio, ma continua a servirsi di uomini fragili e fallibili per comunicare la sua presenza. È un fatto consolante e vertiginoso ad un tempo, che la fede ci insegna ad affermare nella sua disarmante oggettività. I peccati e gli errori dei sacerdoti non tolgono nulla alla forza divina che si trasmette attraverso le parole e i gesti propri del loro compito.
Questo mistero non ci libera però dalla responsabilità di essere degni di ciò che portiamo, la rende al contrario più urgente. Non solo per noi stessi, ma anche per le persone a cui siamo mandati. Sono bellissime le parole con cui il vescovo, al termine del rito, richiama il sacerdote che ha appena ordinato: Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai. Conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore. Nello stesso tempo lo affida alla protezione di Dio e gli ricorda che a lui deve guardare, per immergersi in un compito tanto superiore alle sue forze: Il Signore Gesù Cristo, che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo. Nella forza dello Spirito Santo sta tutta la nostra speranza.